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domenica 24 aprile 2016

Nella chiesa a cielo aperto: Santa Maria di Cartignano

Fa un certo effetto viaggiare sulla statale 153 che da Navelli, il paese dello zafferano, porta fin sotto la valle, attraverso Bussi sul Tirino.
Questa era una delle zone più pulite d'Italia e il fiume, il Tirino appunto, era uno dei corsi d'acqua più limpidi del centro sud.
Era... fin quando ci si è accorti che i soliti delinquenti senza volto avevano, per decenni, fatto bere e irrigare i campi con ogni sorta di prodotto inquinante, residuo della mega discarica dei veleni chimici di Montedison.
Una bomba ecologica, per giunta senza colpevoli. Tutti assolti, qualcuno salvo per prescrizione. La legge e i diritti di tutti, calpestati da gente senza scrupoli.
Niente di nuovo sotto il sole, sentenzierebbe il buon "Qoelet", il famoso autore dell'Ecclesiaste, uno dei sacri libri sapienziali della Bibbia.
Di colpo si sono dileguati i tanti pescatori che venivano da ogni parte d'Italia, i cavalieri che sognavano di percorrere a cavallo la splendida ansa del fiume, gli amanti del mountain bike selvaggio e il Parco Nazionale Gran Sasso e monti della Laga, che dai tempi della presidenza Mazzitti, non comunica più, ha relegato per un pochino nel dimenticatoio questa zona periferica di confine con la Majella.

Eppure questa è una parte bellissima d'Abruzzo, ricca di storia e natura.
Il fiume sta rigenerandosi pian piano e sta tornando limpido come un tempo. E il turismo, a fatica, sta riprendendo, magia di un Abruzzo che non muore e si rigenera prodigiosamente.
Molti attraversano questo luogo per giungere a Capestrano o per scoprire l'interessante chiesa di San Pietro ad Oratorium, proprio accanto al fiume, in mezzo al verde, luogo templare e misterioso.
E, mentre i monumenti più affascinanti richiedono conoscenza dei luoghi, informazione e scoperta, capita che sul ciglio della strada t'imbatti nella "chiesa che non c'è"!

Ed ora il vostro scopritore di gioielli è qui, davanti a l'unico tempio a cielo aperto che si possa trovare dalle nostre parti: Santa Maria di Cartignano.
Certo, occorre metter mano a tutta la fantasia che si possiede per immaginare come finita, una chiesa dalle sole e nude strutture architettoniche, senza tetto e arredo interno.
L'atmosfera, però, è fantastica!
Il rettangolo di sole che si posa tremolante sul muro, agita una sorta di pulviscolo dorato quasi impalpabile e la conseguente zona d’ombra, si addensa intorno, declinando tutte le gradazioni di grigio e bruno.
La chiesa c'è ma non c'è!
Guardo in alto, sulla mia testa non c'è un soffitto ligneo intarsiato, ma il cielo con le sue nuvole che sembrano grossi delfini bianchi.
Mi vengono in mente le belle parole del salmo 19:
“I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento, il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizie”.

Non c'è altare, non esiste presbiterio, non vedo crocifissi.
Forse è anche questa la Celebrazione Eucaristica che vuole il Signore: lodarlo in semplicità, con gli occhi rivolti in alto.
Sul muro screziato il piccolo scorpione si muove a fatica. E' nerissimo, come pece. La corazza lucente, colpita dal sole, manda minuscoli bagliori sinistri. Le chele roteano minacciose e il pungiglione inarcato sembra sul punto di attaccare.
Mi pare una creatura ripugnante, ma devo ammettere di essere di fronte a una macchina perfetta, una delle tante create con arte da un Dio infallibile.
Perché, mi chiedo, li ha fatti così brutti e sinistri? Cosa costava al Creatore realizzarli un tantino più aggraziati e godibili da vedere?
Viene in soccorso lo Spirito Santo che con me ha molto da lavorare. A volte, penso, occorre attraversare momenti terribili, brutti come gli artigli cattivi di questo orrido animale, cercando di non pungersi, per poter entrare dalla porta stretta nella “valle del bene”.
C'è una famigliola che ha fermato la macchina sul ciglio della strada, sorpresi dalla
chiesa che non c'è.
Il bimbo, nient’affatto spaventato dal mostriciattolo, con acute grida, viene a stento mantenuto dalla mamma che gli impedisce di toccare il piccolo animale. Il marito è preso dalla frenesia degli scatti fotografici. Una chicca da riportare agli amici e lasciarli sbalorditi.
Anche questo è Abruzzo!
Guardo ancora il bimbo che ride e mi si apre il cuore alla speranza.
Ogni volta che vedo un piccolo incantarsi davanti allo spettacolo della natura mi rendo conto che non è stata scritta l’ultima parola. Fin quando esisterà la meraviglia, la curiosità, l’uomo ce la potrà fare nonostante tutto.
Come entrare in contatto con il bambino che è nascosto in ognuno di noi? Come accedere ai sogni infantili e trasformare la nostra vita in incantesimo? Siamo sempre in guardia, abbiamo paura di essere valutati come dei drammatici superficiali. Il nostro mondo è legato alla catena delle apparenze ed esteriorità. Siamo egoisti, saccenti, rassegnati e scontenti.
Il contrario dei bimbi.

Chiudo gli occhi. Mi pare di rivivere l'atmosfera frenetica e concitata di un cantiere medievale, tra scalpellini, operai e decoratori in bilico su ponteggi insicuri. Poi penso di avere davanti dei monaci benedettini, intenti a salmodiare dietro una colonna.
E invece, riapro gli occhi e ho davanti un rudere, così ben incastrato nel paesaggio da farne parte alla grande, molto più delle tante chiese aquilane rese monconi di pietra dal terremoto del 2009.
Qui c'è una storia importante. Santa Maria di Cartignano esisteva come minuscola chiesa già nel 1000. Nei successivi cinquant'anni divenne un monastero, dipendente niente di meno da Montecassino.
Fu anche grancia della chiesa di San Liberatore a Majella e appartenne anche ai Celestini di Sulmona.
La struttura doveva essere proprio questa: tre navate con elegante portale d'ingresso. Difficile trovare altre notizie.
Pare che, dopo il terremoto che sconvolse anche Roma nella prima parte del Duecento, il monastero venne ristrutturato così da essere in piena attività nel Trecento, con tanto di campanile a vela poggiata sulla facciata centrale e un elegante rosone all'ingresso. Diversi storici del luogo hanno scritto della "chiesa che non c'è".
Nessuno ha potuto dare certezze assolute sulla storia di questo bizzarro luogo sacro. Certo è che nel castello cinquecentesco dell'Aquila, si custodisce un grande affresco duecentesco, pre- terremoto, dell'abside di Santa Maria: un Cristo benedicente in trono tra la Vergine e San Giovanni.
Ora, la magia si è esaurita.
Corro verso San Pietro ad Oratorium, alla scoperta del misterioso quadrato magico murato sulla facciata, con enigmatiche parole scolpite, vero rompicapo degli studiosi.


Arrivare a Bussi:
Autostrada A 25 uscita dedicata; da Napoli A 1 uscita Caianello, poi indicazioni Roccaraso Sulmona, A25.

Consiglio una passeggiata nel centro di Bussi, fino a visitare la bella parrocchiale di Santa Maria di Ponte marmoreo e, arrivare al castello del XVI secolo Si scoprirà la torre triangolare, gemella della nostra di Montegualtieri, vicino Castelnuovo Vomano .
Per informazioni: Comune di Bussi: telefono 085980138
http://www.comune.bussisultirino.pe.it/

Bello programmare un picnic sul fiume. Andando al Centro visite è possibile percorrere, con accompagnatori, il corso d'acqua in canoa, nelle anse del Tirino.

Gastronomia di ottimo livello con i piatti tipici a base di sugo di gambero e filetto di trota alla brace.

sabato 2 aprile 2016

I cafoni di Ignazio Silone: visita a Pescina

In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo!
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi nulla.
Poi ancora nulla.
Poi ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire che è finito.
(Fontamara)

Scruto l’orizzonte mentre il cielo si apre a dismisura e le nuvole assumono forme antiche, spaventose in alcuni casi. Un cumulonembo si muove a tratti, portato dal vento e sembra guardarmi come un animale dalle fauci spalancate.
Goccioline di pioggia scendono di tanto in tanto.
Alcuni corvidi di montagna sono stranamente scesi dalle cime, per poggiarsi sui balconi di un piccolo palazzo antico. Hanno il piumaggio nero e i becchi colorati di arancione e giallo con i quali quasi come escavatori animati tipo Transformer, credo che se affamati, sollevino la terra per beccare larve di ogni specie.
Sul muro screziato del palazzo cadente, il piccolo scorpione si muove a fatica.
È nerissimo, come pece. La corazza lucente, colpita dalla luce, manda minuscoli bagliori sinistri. Le chele roteano minacciose e il pungiglione inarcato sembra sul punto di attaccare.
Mi pare una creatura ripugnante, ma devo ammettere di essere di fronte a una macchina perfetta, una delle tante create con arte da un Dio infallibile.
Perché, mi chiedo, li ha fatti così brutti e sinistri?
Cosa costava al Creatore realizzarli un tantino più aggraziati e godibili da vedere?

Intanto il mio anziano interlocutore non la smette di parlare. Buca il silenzio, rovina quasi l’atmosfera solenne del centro, dove palazzi nobiliari restaurati si alternano ad altri rimasti cadenti e abbandonati dopo il terremoto.
La voce è stridula, decisamente poco accattivante, però è veramente prodigo di informazioni.

Sono a Pescina sulle orme del grande Ignazio Silone. Ho parcheggiato la macchina non lontano dalla torre dei Piccolomini, famiglia che a lungo fu padrone di queste terre.
Qui si gode un panorama superbo sulle vette del Sirente e del Velino, e sul Fucino, un tempo bonificato. Non lontano si scorgono i resti di antiche mura ciclopiche che denotano la presenza dell’uomo sin dalla preistoria.
Ce n’è anche un’altra di torre panoramica, in frazione Venere a dominare l’abitato. Questi manufatti servivano da avvistamento della valle dove un tempo c’erano le sponde del lago Fucino.
Dopo aver fotografato il Mausoleo di Silone con la sua pittoresca croce in ferro, nella parte morta del paese, tra ruderi ed erbacce, sono arrivato fino in piazza, godendo dell’aria medievale che si respira tra le antiche vie e le numerose chiese che insistono nella zona antica. Nello slargo giganteggia il complesso religioso con la chiesa di Sant'Antonio e l’annesso teatro dedicato a San Francesco.
L’uomo appare felice di poter parlare con qualcuno. Mi imbottisce di notizie sul paese, a volte mette dentro anche qualche nota di gossip su alcuni degli abitanti, salvo poi aggiungere che “io sono un tipo che mi faccio i fatti miei”.
Lo lascio dopo aver avuto indicazione per visitare la “Casa Museo di Silone”.

Pescina oggi è un tranquillo borgo montano dell’aquilano a oltre 700 metri di altezza, all'imbocco della verde vallata del Giovenco, porta d’accesso per due parchi: il Nazionale d’Abruzzo e il Regionale del Velino Sirente.
È un paese pittoresco, in molti punti rimasto come un tempo, sormontato dai resti dell’imponente castello medievale.
Oltre che per aver dato i natali a Silone, questo piccolo centro abruzzese vanta comunque un passato glorioso. Oltre venti secoli fa, uno dei popoli italici più organizzati e anche violenti dell’intero arco appenninico dello Stivale, I famosi Marsi, proprio qui edificarono una gigantesca acropoli e da qui partirono alla conquista del centro Italia.
Fu proprio nel cuore dell’abitato, una targa sul portone del palazzotto gentilizio lo ricorda, che nacque, nei primi anni del ‘600 Giulio Mazzarino, famoso cardinale, rampollo di una facoltosa famiglia siciliana, che ebbe un ruolo preminente nella storia francese, come Primo Ministro nientepopodimeno che del Re Sole, Luigi XIV.

Adoro Ignazio Silone.
Sono molteplici i motivi di questa mia passione per lo scrittore abruzzese, a cominciare dalla sua vita che somiglia molto a un romanzo di avventura, i suoi libri in cui i paesaggi, i personaggi, le atmosfere della nostra terra sono onnipresenti, l’amore che lui metteva nei rapporti con tutti, qualsiasi ceto sociale si occupasse, rozzo contadino, personaggio di cultura europea, o politico.
Una delle sue opere, “L’Avventura di un povero cristiano”, del 1968 mi ha particolarmente interessato perché racconta, in inedita forma teatrale, la vicenda umana del papa Celestino V, nel secolo frate Angeleri, l’eremita del Morrone che, eletto papa, fece il “gran rifiuto”, causando l’ira di
Dante Alighieri. Il grande poeta, nella Divina Commedia, lo vitupera per aver lasciato il seggio pontificio all'indegno Bonifacio VIII.

Sentite l’atto d’amore incondizionato di Silone per questo suo pezzo d’Abruzzo, contenuto nella bella introduzione al suo libro più famoso, Fontamara:
“Tutto quello che mi è avvenuto di scrivere e probabilmente tutto quello che ancora scriverò, benché io abbia viaggiato e vissuto a lungo all'estero, si riferisce unicamente a quella parte della contrada che con lo sguardo si poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui”.

Il grande scrittore si chiamava, in realtà, Secondino Tranquilli e il nome Silone lo prese per omaggiare un condottiero dei Marsi, tal Quinto Silone e Ignazio per il suo amore verso il religioso spagnolo di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Nacque nel 1900 da una famiglia povera e probabilmente non sotto una buona stella. A undici anni vide morire il padre, poi il terribile terremoto del 1915, che rase al suolo Avezzano, distrusse la casa di famiglia, uccidendo l’amata madre Marianna.
All'ingresso della casa natale dello scrittore scopro che oltre un museo c’è anche un Centro Studi Silone. La visita all'interno vale da sola i chilometri percorsi per arrivare fin qui. Ovunque ci sono
foto d’epoca e documenti firmati dallo scrittore. Molte testimonianze storiche, dal terremoto ai trascorsi politici, dall'amicizia con Benedetto Croce, ai contrasti con il Partito Comunista di Togliatti, fino al suo esilio in Svizzera.

Lo scorso anno è stato inaugurato un bellissimo percorso dedicato all'illustre abitante di Pescina che in circa tre ore di cammino, dal fiume Giovenco, attraverso un mulino abbandonato, porta sino alla sommità del paese, alla tomba di Silone e alle mura della Rocca Vecchia, con splendida vista sulla vallata.

"La più grande aspirazione dell'Uomo sulla terra deve essere anzitutto di diventare buono, onesto e sincero"!
(Dal memoriale del carcere svizzero: Ignazio Silone)



Arrivare a Pescina:
Auto:
l’uscita autostradale di Pescina è sull'autostrada A25 Roma Pescara, in posizione baricentrica tra la Capitale e la costa abruzzese, a circa un’ora di auto da entrambi questi centri d’interesse.

Treno:
Pescina è dotata di una Stazione ferroviaria che ha collegamenti con altre stazioni di centri limitrofe (Cocullo, Sulmona, Avezzano, Celano).
La Stazione di Avezzano è raggiungibile in 15 minuti da Pescina ed ha collegamenti diretti con Roma e Pescara ed altre città abruzzesi e laziali.

Autobus: le corse regionali ARPA collegano Pescina a tutti i paesi della Marsica, e passando per Avezzano, alle maggiori città d’Abruzzo nonché a Roma.


Attenzione Pescina è porta d’ingresso al Parco Nazionale. Una bella strada panoramica porta fino a Pescasseroli, nel cuore della più vecchia area protetta d’Italia, attraverso Gioia Vecchio e il Passo del Diavolo.

Nei dintorni si mangia bene ovunque. Specialità indiscusse sono agnello alla brace, paste fatte a mano.

http://www.silone.it/nuovosito/node/4263