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domenica 28 febbraio 2016

L’altra Sindone, l’immagine “acheropita” di Manoppello!

Grazie per la collaborazione fotografica di Pacot Video di Vincenzo Cicconi

I capelli della vecchia sono lunghissimi.
Non si capisce quanto, perché li raccoglie stretti in una crocchia.
Rimango affascinato nel pensare a quanto lavoro ci sia dietro una semplice pettinata. Attorno al viso rugoso, quella lunga chioma candida da fata turchina centenaria, è qualcosa che scioglie il cuore.
Anche quando ci si avvicina irrimediabilmente alla fine, non si rinuncia facilmente al proprio modo di essere.
Dalla panchina l'anziana donna getta briciole di pane e un nugolo di piccioni plana vicino le gambe rinsecchite. Forse lo fa per esorcizzare la solitudine.
Ho sempre faticato a pensare ai vecchi come ai bambini di un tempo. Per me, la mia nonnina Maddalena era nata così come la vedevo da piccolo: con il viso incartapecorito e la schiena curva. I bambini sono sempre bambini, i vecchi sempre vecchi.
Eppure, guardando gli avambracci cadenti di questa vecchina seduta sulla panchina di fronte la scalinata del Volto Santo, capisco che il tempo muta tutto.
Solo Dio non muta mai!

Mi trovo a Manoppello, uno dei tanti bei borghi abruzzesi, ubicato tra la costa pescarese e il massiccio della Majella. Sarebbe un paese sconosciuto se qui non si ospitasse una reliquia incredibile, un velo che mostra l’immagine sofferente del Cristo.
Da previdente quale sono, ho deciso di venire di martedì.
La domenica qui si entra a fatica, per via dei tanti pellegrini che giungono da ogni dove.

Il mistero del Volto Santo è impenetrabile da secoli!
Una immagine acheropita, non fatta, cioè da mano umana!
Per qualcuno si tratta, addirittura, del fazzoletto della famosa Veronica, la donna colpita dall'immenso dolore di Gesù, che sul Calvario volle asciugare il viso del Messia sofferente.
La bella scalinata, colpita dai raggi del sole, riflette luce sull'inedita facciata della basilica. Sosto davanti la semplice costruzione a disegni geometrici, con alternanza di bianco e di rosso. All'interno, sull'altare maggiore, è custodita la singolare icona di Cristo.
L’emozione, per un credente come me, è tanta.

Entrando nel santuario, prima di osservare con trepidazione il prezioso telo e lo sguardo profondo del Cristo, i miei occhi incrociano un frate cappuccino intento a pregare in ginocchio nell'ultimo banco di destra della navata principale. Ha le mani intrecciate alla corona del rosario e gli occhi fissi alla teca sopra.
Immobile, quasi in estasi che puoi confonderlo con la statua di San Rocco non molto distante, sulla sua sinistra.
L’umile figlio di San Francesco, forse capendo la mia emozione, volge lo sguardo verso di me, con un espressione che pare leggiadra nonostante la corporatura abbondante. Poi con un parlare schietto che denota semplicità e modestia, mi dice una frase che mi lascia interdetto: “Non avere paura, accostati con fiducia, Cristo ti aspetta!”.

Mi colpisce la struttura marmorea posta sopra l’altare maggiore.
La cornice del reliquario, donato dagli abitanti nella metà del novecento, non contiene nulla! Ho un attimo di smarrimento.
Che il Velo sia stato portato altrove?
Poi ragiono meglio e capisco che non può essere accaduto questo. Mi avvicino e finalmente riesco a vedere la “Sacra Sindone” abruzzese. Avevo letto di un documento in cui si parla di impercettibili spazi vuoti tra filo e filo, millesimi di millimetri che rendono il pezzo di stoffa semitrasparente e quasi invisibile.
Un tuffo al cuore! Una felicità che sembra correre dentro me come la pallina di un flipper.
Il Velo, custodito qui dal Seicento, è così impalpabile che pare trasparente, colpito dalla luce del sole che entra dal portone laterale aperto e dai finestroni colorati. Ecco perché, a distanza, la teca pareva vuota.
Sono davanti a una delle reliquie più coinvolgenti della storia del Cristianesimo. Addirittura oggetto di particolari studi che, al computer, hanno evidenziato la perfetta sovrapponibilità con la più famosa Sindone di Torino.

Migliaia di storici si sono occupati di questo tesoro di devozione.
Secondo alcuni di essi sarebbe la sacra immagine che nella notte dei tempi, il 570 circa, fu traslata dal luogo dove giaceva nascosta a Costantinopoli, nella odierna Turchia.
L’imperatore di allora, Giustino II, intendeva farne oggetto delle preghiere dei soldati che erano impegnati nel conflitto con il forte popolo persiano e avevano bisogno di affidarsi a Dio.
Agli inizi del Settecento, per far si che il prezioso fazzoletto non cadesse nella mani distruttrici degli iconoclasti che aborrivano il culto delle immagini sacre, fu trasportato in gran segreto nelle stanze sicure del Vaticano. Pare che da lì, in determinati momenti dell’anno e in occasione dei Giubilei, la reliquia fosse oggetto di ostensione ai fedeli.
Fu durante il Sacco di Roma, quando la città venne messa a ferro e fuoco, che la Sindone di Veronica scomparve tragicamente. Quando ormai la si dava persa, distrutta o bruciata, ricomparve misteriosamente in Abruzzo.
Mistero nel mistero.
C’è chi attribuisce il ritrovamento al comandante della guarnigione spagnola, il famoso Ferdinando De Alarcon, il quale per i servigi offerti al Re ebbe un marchesato nelle umili terre di Manoppello.
Altri raccontano una storia che parte dal lontano 1506 quando un enigmatico pellegrino dai modi garbati e la barba grigia, davanti alla chiesa di S. Nicola in Manoppello, consegnò un involto a Giacomantonio Leonelli, abitante del luogo.
Questi, apertolo, vi scoprì la figura del Signore; di quel pellegrino naturalmente si erano già perse le tracce, scomparso agli occhi di tutti.
Infine si parla di un ricco del luogo, Tale Donato De Fabritiis che acquistò questa splendida reliquia da un soldato in miseria bisognoso di soldi.
Il Volto fu donato nel seicento ai cappuccini che stavano costruendo il loro santuario a Manoppello.

Avvicinatomi al prezioso velo da cui traspare prodigiosamente, sia sul dritto che sul rovescio il Volto Santo, mi colpisce profondamente il viso ovale, leggermente rotondo e asimmetrico del Nazareno. Incrocio più volte lo sguardo con gli occhi del Redentore.
I suoi capelli lunghi, la bocca leggermente aperta come sul punto di ammaestrarti con le parole che usò nel tempio, lo sguardo penetrante e gli occhi in alto verso la casa di Dio, sono i tratti fondamentali di tutta l’iconografia che ha rappresentato Gesù nei secoli.
Spostandomi di lato, la trasparenza così marcata mi permette, addirittura, di vedere oltre il tessuto, anche il portale, in fondo alla navata.
Questo enigma dura da oltre quattro secoli. Fa impazzire studiosi, tecnici, esperti di iconografia e religiosi il fatto che si denoti, dopo infiniti studi, l'assenza di materiali pittorici negli interstizi dei fili.
Io posso semplicemente testimoniare che tessuto e colore non sono stati danneggiati dal tempo che scorre e che il Volto del Cristo pare modificarsi a seconda della luce che lo colpisce. Rimanendo per ore a guardarlo, si possono scoprire i segni dei colpi subiti nella Passione. Roba forte, insomma, per gente di fede forte!

La monaca trappista Suor Blandina Schlomer, in un documentario riassunse i suoi studi meticolosi sul prezioso panno con la frase: “è di certo immagine vivente”.
Ricerche scientifiche hanno più volte confermato la sorprendente mancanza di pittura e pigmenti di colore sul velo, da cui traspare da entrambe le parti il Volto con gli stessi tratti somatici della Sacra Sindone, perfetta fusione tra i due volti.
D'altronde l'icona si sovrappone quasi perfettamente con altre famose immagini del Cristo, un mosaico nella basilica romana di Santa Prudenziana, secolo IV, una icona russa del XII secolo, custodita nella città di Mosca, il Cristo delle catacombe dei santi Pietro e Marcellino sempre a Roma.
Sono venuto fin qui per sapere di più anche di questa religiosa tedesca che sperava di trovare anche una benché minima differenza col volto della Sindone così da poter metter in dubbio le sue certezze.
Ma la suora terminava nel documentario con queste parole: “sovrapponendo le due immagini se ne trova una sola, quella del Cristo!”.
Quanti misteri avvolgono questo luogo.
Vi consiglio di visitare il bellissimo museo, a cui si accede dietro l'altare a fianco della sacrestia per saperne di più.
Dopo la visita del papa emerito Benedetto XVI, la mostra è stata arricchita ulteriormente di pannelli e foto.

Non mi interessa la diatriba sull'autenticità di questa santa reliquia.
Quello che importa è che, anche solo per un attimo mi sono sentito anch'io pellegrino del nostro tempo, penetrato dallo sguardo profondo e magnetico di un Cristo che ho percepito immensamente vicino.
E’ una esperienza forte di fede che consiglio a tutti voi.


Taccuino di viaggio
Raggiungete Manoppello dall'autostrada A25 Torano- Pescara, uscita Alanno Scafa.
Il santuario è visitabile dalle 6 del mattino alle 12,30 e dalle 15 del pomeriggio alle 18,30, ora legale 19,30. Disponibili sacerdoti per confessioni anche per gruppi di preghiera. Per informazioni 085 859118 - mail info@voltosanto.it. Nel sito www.voltosanto.it si può prenotare per gruppi, messe e preghiere, compilando una scheda elettronica.

Non perdete la mostra con i suoi 27 pannelli che spiegano tutto. Da ammirare anche degli ex voti di pregevole fattura.

Nei dintorni di Manoppello sono diversi gli agriturismo e ristoranti dove si mangia bene e si paga il giusto. Cucina di collina con gli ottimi vini delle campagne locali, dove esistono molti piccoli produttori.

Infinite cose da vedere nei dintorni. Siamo a circa 30 chilometri da Pescara. A Manoppello scalo da visitare assolutamente Santa Maria di Arabona, di cui vi parlerò presto.
Vicino si visita anche il santuario di San Liberatore a Serramonacesca, fatto costruire da Carlo Magno e di cui abbiamo parlato in un altro articolo (ritrovatelo nel Fatto). Verso Caramanico Terme, da visitare il bel borgo di San Valentino a Citeriore e le famose grotte degli eremi celestiniani.

Non è troppo distante anche la bella abbazia di San Clemente a Casauria, gioiello di arte sacra abruzzese.




giovedì 25 febbraio 2016

Il Convento che San Giovanni volle fortemente

”Tu eri dentro di me e io fuori di me ti cercavo…” (Sant’ Agostino)

Tratto dal libro "Kalipè, il mio passo libero"

Il sole stava diventando nuovamente un ricordo rosso oltre il bordo della montagna, sfumando nel blu cobalto di una sera da copione cinematografico.
Era un’intensità cromatica che bucava il cuore.
La piana del fiume Tirino sembrava uscita fuori da una storia della Terra di Mezzo.
Passava con disinvoltura dalla commedia al dramma con continui cambi di fondale. L’aria era fresca, refoli di vento invitavano a tirar su il bavero della giacca di pile.
La pioggia continua dei giorni scorsi aveva reso tutto terso e in lontananza un bel campionario di tuoni, portava con se un nucleo di nubi gravide ancora di acqua. Le piccole pozzanghere, rimaste a terra, parevano monete lucide appoggiate al suolo.
Lo zaino risultava terribilmente pesante e quasi mi faceva sprofondare le pedule nel terreno reso morbido dalle precipitazioni.

Mi venne da pensare, mentre arrancavo sotto il peso, che ogni uomo si trascina dietro le spalle, inconsapevolmente, un sacco bucato.
Il fardello diventa più pesante a mano a mano che il contenuto si disperde lungo il cammino. Poi, un giorno ci si accorge che il sacco è rimasto vuoto e la vita è miseramente passata senza che tu te ne sia accorto.
Finalmente aggirata la collina, in lontananza apparve il convento francescano di San Giovanni a Capestrano. Dalla piana di Navelli la camminata era stata davvero lunga. Pensavo di cavarmela con meno fatica.
Ero a una quarantina di chilometri da Aquila, in un posto reso celebre dalla necropoli dove si rinvenne il “guerriero di Capestrano”, armato, rigidamente eretto e sostenuto da due pilastri con un grande copricapo a forma di scudo sulla testa.
Da visitare c’è l’affascinante Castello medioevale dei Piccolomini, nella parte alta del borgo antico, con tanto di torri quadrate e fossati anti nemici per fare un prodigioso tuffo nel passato. Perché, tutto a Capestrano parla di storia.
Il borgo sorge a guardia della valle con le case accastellate per difendersi dalle incursioni nemiche.
A pochi chilometri dall’abitato, sul bordo del pescoso Tirino, c’è anche un meraviglioso monastero, San Pietro ad Oratorium, perso in un ameno boschetto sul greto del fiume. Fu fondato dai Benedettini nel 752, realizzato in stile romanico con interno a tre navate, impreziosito da affreschi di stile bizantino.

Per fortuna anche quella notte, come Dio voleva, l’avrei trascorsa al coperto. Sognavo di poter trascorrere nuovamente delle ore indimenticabili in compagnia del Signore, così come mi era accaduto al convento de La Verna.

In breve arrivai davanti al portone del convento. Vidi una scritta su tavola di legno:
“Coloro che sono chiamati alla mensa del Signore, devono brillare di purezza con l’esemplare condotta di una vita moralmente lodevole, e rimuovere ogni sozzura o immondezza di vizi.
Vivano per sé e per gli altri in modo dignitoso, come sale della terra. Splendano per un grande spirito di sapienza e con questo illuminino il mondo. Coloro che fanno parte del clero e danno cattivo esempio per i loro pessimi costumi, per i vizi e i peccati, sono degni disprezzo e di essere considerati come fango spregevole. Non sono più utili né a sé, né agli altri."

Scriveva queste righe sante nel trattato “Lo specchio dei chierici” il sacerdote Giovanni, discepolo di San Bernardino da Siena e soprattutto di San Francesco d’Assisi, prima di diventare il grande santo di Capestrano.
Definire la vita di San Giovanni da Capestrano avventurosa è usare un eufemismo.
Il sacerdote prima d’intraprendere un' instancabile attività apostolica in tutta l’Europa, per rinnovare i costumi dei cristiani e combattere l’eresia, fu insignito dal Re Ladislao di Napoli della carica di primo ministro di Stato. In qualità di luogotenente del governatore di Perugia si interpose per sedare la guerra tra i Perugini e i Malatesta; fu da questi ultimi fatto prigioniero e condotto nella torre del castello di Brufa.
Mentre era incatenato prese la decisione di indossare il saio.
Da sacerdote e predicatore, non si concedeva un momento di tregua portando il vangelo in tutta l'Europa. Nel 1417 andò alla scuola di San Bernardino da Siena. Nel 1427 il papa Martino V gli affidò il mandato di porre fine alla setta eretica dei fraticelli e più tardi Eugenio IV lo mandò inquisitore contro gli ebrei e i saraceni dimoranti in Italia. Perfino Federico III di Germania chiese l'intervento del Santo per pacificare le sue terre.
Era il 1456 quando Callisto III gli affidò la crociata contro i Turchi nello stretto del Bosforo. Giovanni partecipò alla difesa della fortezza di Belgrado comandando l'ala sinistra dello schieramento. Il 23 ottobre dello stesso anno si ammalo di peste e morì in Ungheria.

Il convento di San Giovanni, nel bellissimo paese aquilano di Capestrano, è un posto splendido dove poter vivere momenti di riflessione e preghiera comunitaria, dato l’enorme spazio a disposizione. E’ sorprendente osservare la folla dei devoti recarsi in visita ai santuari, divenuti centri di spiritualità e segno del bisogno umano di recuperare il contatto personale con l’Essere Supremo.
Sono molti i luoghi d’Abruzzo dove ogni piccola voce, dal canto di un usignolo al fruscio del vento, leggera sale al cielo come offerta al Creatore del palpito del cuore di ogni creatura.
Questo è uno di quei posti.
Sorto nel XV° secolo, conserva alcuni dei suoi scritti datati 1400. Fu uno dei quattordici conventi che, prima di morire, San Giovanni fece erigere. Come sito, per la costruzione, nel 1447 fu scelta la località dov'era il vecchio castello costruito dal re Desiderio.
La donazione del terreno fu opera della contessa Corbella, pia donna, moglie dell’allora Signore di Celano e Gagliano Aterno, il Conte Leonello De Acclozamora.

La storia della nascita del convento è velata di mistero.
Quella sera me la raccontò un novizio davanti a un bel piatto di pasta al pomodoro. Sembra che Giovanni ebbe una visione: uno stormo di colombi lo assalì durante uno dei suoi viaggi evangelizzatori. Cercava di allontanare gli uccelli che, incuranti del mulinare delle braccia, gli impedivano il cammino.
Di colpo, una voce gli ordinò di distruggere la “colombaia” e costruirci un luogo santo.
“La colombaia” altro non era che il ritrovo di questi volatili che si erano accasati sul posto dove Desiderio, re dei Longobardi, aveva costruito il suo fortino.
Così avvenne e il convento venne edificato.
Nel corso dei secoli questa struttura ha subito varie trasformazioni, oggi si presenta in stile barocco.

Gli occhi rimasero sorpresi nel chiostro che conservava in gran parte l’originale fattura. Rimasi rapito a pensare quanta santità si fosse avvicendata in quel posto. Il manufatto seicentesco si presentò con un meraviglioso porticato e le sue otto belle lunette affrescate raffiguranti episodi della vita di San Giovanni, e al centro una cisterna imponente del 1774.
Nella chiesa, ad unica navata, vidi un bellissimo altare dedicato al Santo con la statua realizzata dai ceramisti di Bussi nel 1700.
Il tempio, dedicato a San Francesco d’Assisi, aveva subito l’ultima trasformazione nel 1924, quando Padre Colombo Cordeschi volle restaurare anche l’imponente scalinata dell’interno del convento risalente al 1750.
La “Regia Biblioteca”, scrigno degli antichi codici e custode della Bibbia su cui usava pregare e studiare il Santo, non viene aperta mai a nessuno, purtroppo.
Quella sera io divenni uno dei pochi che ha avuto la fortuna di poter ammirare i codici miniati e le lettere del santo gelosamente custodite.
Nel 1984 Giovanni Paolo II nominò San Giovanni, Patrono dei cappellani militari di tutto il mondo e da secoli, il settecentesco busto argenteo del santo viene portato in processione per le vie del paese il 23 ottobre, giorno che ricorda la sua morte.

Amo soggiornare nei monasteri.
Sono la custodia del tempo fuori dal tempo!
La vita monastica, scriveva Grun, monaco autore di testi sacri, è la scheggia del tempo che si è fermato. Chi vive nei monasteri vive nell’eternità, a contatto privilegiato con Dio, immerso nel silenzio che apre la porta alla ricerca del Divino. Chi sosta temporaneamente, riesce a vivere attimi di pace e a viaggiare interiormente nella quiete.
Quando varchi il portone d’ingresso lasci fuori le ansie. Mi è accaduto anche visitando numerosi monasteri, dal benedettino Sacro Speco di Subiaco, alla poderosa Casamari nel profondo Lazio, dalla certosina Trisulti, sotto i monti Ernici, ai conventi francescani della Valle Reatina. Spesso le foreste completano il cuore spirituale del luogo sacro. Nei monasteri si riesce a equilibrare gli opposti: il rapporto con Dio e quello con gli uomini, l’eremitaggio e la vita comune, la parola e il silenzio, la fede e la laicità, le donne e gli uomini.

Non bisogna mai alzarsi dal letto al mattino senza ringraziare per il nuovo giorno. Qualcuno ce l’ha donato, questo è certo!
Mi hanno insegnato che occorre avere sempre gli occhi ben spalancati sul mondo come carta assorbente e che nella vita c’è bisogno di ridere con grasse risate, piene, pulite e senza pentimenti.
Ringraziare, parola d’ordine, chi ci dà la vita! E si ringrazia anche stando contenti.
Né dovremmo cercare, sollevandoci dal riposo, di fingere ciò che non siamo.
Per far questo dobbiamo essere in pace con noi stessi e con gli altri. Per esserlo dobbiamo realizzare che la felicità degli esseri che ci circondano è diversa per ognuno di essi.

Questo è il credo del mio caro amico Mauro.
Occhiali poggiati sul naso, eternamente col sigaro spento in bocca, è un ateo convinto eppure è molto più cristiano di tanti altri. Lui è alla sequela di Gesù senza saperlo!
Non l’ho visto mai una volta triste. Eternamente sorridente, amabile come pochi. Parla il necessario, ma quando lo fa, riesce a dire più di quanto facciano altri in un’intera settimana. Tipo incredibilmente calmo, serafico, roba da invidia per ipertesi come chi vi scrive. La sua figura riempie tutto lo spazio e non soltanto per le sue dimensioni generose, ma per la tranquillità che diffonde.
Dopo la morte per lui non c’è nient’altro che la morte, però è in pace con se stesso molto più di tanti cristiani che, per mezzo della bocca predicano la gratificazione del Signore nell'aldilà ma nell'aldiquà tremano a lasciare questo mondo.
Un uomo in pace con l’Universo, il buon Mauro. Fotografo finissimo, ama scattare istantanee ai paesaggi. Questo ce l’abbiamo in comune come uguale è, in vacanza, abbandonare presto la polvere dei musei e delle bancarelle di souvenir per imboccare sentieri nei boschi. Non è un gran camminatore ma per scovare posti idilliaci, si sacrifica volentieri.

Lo stavo pensando intensamente ora che dalla collina sopra il convento di Capestrano mi godevo il cielo rosa di quella bella alba dorata.
La sua maestria nelle foto avrebbe sicuramente immortalato degnamente quel momento magico!
Mi venne da pregare:
“O Santo Francesco tu che tanto hai amato la creazione e il suo Creatore, aiutami a proteggere la natura, ad amarla e a sentirla casa comune con tutti i fratelli soprattutto con coloro che soffrono”.

“Ho fatto la mia parte, possa Cristo insegnarvi a fare la vostra”.
(San Francesco ai confratelli prima di essere condotto in cielo da sorella Morte)



ARRIVARE:

Da Nord e da Sud
Prendere l'autostrada A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara), seguire la direzione Roma, continuare sull'autostrada A 25, uscire a Bussi/Popoli, seguire le indicazioni per L'Aquila, continuare sulla SS 5, prendere la SS 153 fino a Capestrano.
Da L'Aquila
Percorrere la SS 17 direzione Pescara, proseguire sulla SS 153 in direzione Capestrano.

DA VEDERE:
Siamo ai confini del parco Nazionale del Gran Sasso, comunità montana Campo Imperatore- Piana Navelli!

Oltre all'affascinante Castello dei Piccolomini d'Aragona e al Convento, consiglio la chiesa romanica di San Pietro ad Oratorium, otto chilometri dal paese, in prossimità del fiume, con zona picnic. In centro da vedere la chiesa di Santa Maria della Pace e i palazzi Cataldi, Capponi, Trecca.
Luogo ricco di aree archeologiche, ricordate che il famoso "Guerriero" rinvenuto nella necropoli e raffigurante una potente classe di pastori armati nell'età del Ferro,, non è presente a Capestrano che in una pessima copia. L'originale si trova al museo archeologico di Chieti.

Per mangiare poi, ovunque si trovano chitarrine deliziose al sugo di gamberi del fiume Tirino e dolci con ottime mandorle locali.

Vicino si trovano diverse interessanti località:
Navelli a circa 10 chilometri con i prati dello zafferano, Castel del Monte, luogo di villeggiatura a 12 chilometri, Calascio con la rocca quattrocentesca. .

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martedì 9 febbraio 2016

Il borgo dell'Angelo che guarda Pescara!!

Viaggio in un territorio che un tempo era teramano!

Il crocifisso pare guardarmi.
C’è San Francesco che lo abbraccia con passione mentre il Cristo reclina la testa, vinto dai patimenti. L’assisiate, nei primi mesi del 1224, inviò una frase al giovane Antonio, futuro santo di Padova:
“mi piace che tu insegni la sacra teologia ai frati purchè questa occupazione non estingua lo spirito dell’orazione e della devozione”.
Francesco voleva che i suoi frati imparassero più dal libro della croce che dal libro della Parola.
Mi piace immaginare il buon Don Camillo del Guareschi, oggi vecchio, emaciato, dalla tonica ormai lisa, uscir fuori dal bianco e nero dello schermo di Sky Classic per entrare nella realtà di questo momento.
Pensate che bello, poter sentire, insieme a lui, il crocifisso parlare di umiltà, disinteresse, beatitudine.
Ho sempre creduto che possa essere un privilegio fermarsi un attimo del giorno, in mezzo al lavoro, ai problemi familiari, alle preoccupazioni, per poter guardare un crocifisso.
Ci ho coniato anche uno slogan: “Guardatelo e lasciate che vi guardi”.
Un discorso difficile da affrontare con chi non crede.
La chiesa è dedicata al grande santo di Assisi ed è l’unica aperta qui a Città Sant'Angelo, uno dei borghi più belli d'Italia. Qui insisteva nel lontano 1571, la sede della Confraternita del S. S. Rosario e il Monte dei morti.
Le altre sono tutte sbarrate per restauri che da anni faticano a partire.

Ed ecco che si materializza nella navata, la figura del parroco.
Incredibile! Si chiama proprio Don Camillo.
Gentile, affabile, si presta volentieri ad accompagnarmi e farmi entrare in due delle chiese chiuse: S. Agostino e San Bernardo.
Mentre risaliamo il corso principale mi spiega la difficoltà di reperire tanti soldi e soprattutto, dopo i restauri, trovare contributi per pagare qualcuno che sorvegli i tesori contenuti al loro interno.
Solito problema che impedisce ai turisti di godere sempre delle opere d'arte di cui sono piene le chiese d'Italia.
Chiedo a Don Camillo se c'è un "Peppone" in paese. Ride divertito, poi esclama serio: "Compito del parroco di borgo è cercare buoni rapporti con tutti".
Le due chiese meritavano certo più tempo, con cavalletto e studio di luci, ma tant'è!
Ringrazio il sacerdote per la sua disponibilità e lo saluto.

Questo luogo collinare a 325 metri di altezza, riserva molte sorprese.
L’antico centro storico di Città Sant'Angelo, ha un fascino tutto particolare, nonostante la mole della bellissima Collegiata di San Michele Arcangelo sia imbracata da tubi e lamiere.
La ristrutturazione, mi dice uno degli operai della ditta che lavora al monumento, mentre mastica un morso di panino con porchetta, durerà mesi, se non anni.
Quando morde avidamente, i suoi occhi diventano strabici. Le sue mani sono grosse come badili.
Sono veramente deluso.
Secondo don Camillo se torno a Pasqua la trovo aperta.

Speravo di poter entrare in questo gioiello per fotografare il fantastico coro ligneo intagliato del XVII secolo e l’imponente statua di San Michele Arcangelo del XIV secolo.
La grande chiesa all'interno ha due navate di epoca barocca. Nella destra risiede un sarcofago del ‘400, opera in pietra di uno dei vescovi più importanti che il borgo ha avuto, un religioso dal nome amichevole: Amico Bonamicizia.
Non riesco neanche a fotografare l’ampio porticato esterno diviso in due atri. Cerco di corrompere le maestranze per poter accedere qualche secondo, il tempo dello scatto. Neanche per sogno.
Sono ligi, tanto che tutti indossano casco di protezione imbracature e scarponi da lavoro. Qui “Striscia la Notizia” topperebbe alla grande!
Riesco solo a fotografare un pezzo del portale con sopra la statuina in terracotta del santo guerriero, opera ristrutturata una seconda volta dopo quella del 1936.

Lungo il corso si dipanano piccoli e graziosi negozietti, mentre ai lati si aprono strette viuzze con eleganti sporti centenari. Sono le famose “rue” delle vetuste mura della cinta medievale.
Qui e là si scorgono le diverse porte d’ingresso che un tempo servivano per accedere al vecchio centro, dove insisteva una sorta di castello.
Preziosi palazzi baronali fanno da cornice al gradevole insieme, quello della famiglia Ursini, dei Castagna, Coppa Zuccari, Sozj, Colamico. Parlo di un vasto patrimonio di gran valore storico, architettonico e culturale, gioielli da conservare e conoscere.

Peccato, questo lo devo dire a chiare parole, che alcuni di questi gioielli sono un tantino in abbandono, soprattutto nella parte superiore del borgo.
Il vecchio Angelo, (il nome dice glielo hanno dato per il tanto amore verso il paese), a cui interrompo la passeggiata mattutina, mi racconta che questo accade per una manovra politica. Si sarebbero privilegiati insediamenti e lottizzazioni nel sotto valle e diversi abitanti, anziché ristrutturare avrebbero preferito acquistare nuovi anonimi appartamenti. Alcuni sono certo dei brutti caseggiati ma molto vicini ai grandi centri commerciali di Montesilvano e a pochi minuti dall'uscita autostradale Pescara Nord.
Pare che anni fa si stesse per avviare una sorta di lotto unico di riqualificazione, i cittadini sono
ancora in attesa. Il fascino però non si è perso, anzi e questo, nonostante l’occhio critico.

Città Sant'Angelo merita una visita accurata.
Come rimanere insensibili alla preziosità del monastero collegato alla chiesa di San Francesco. Il Comune ebbe vista lunga, tanto che dall'inizio del ‘900, ci si insediò con i suoi uffici.
L'ingresso dalla piazza IV novembre, introduce in un chiostro delizioso, ben tenuto, testimonianza tra le tante della storia millenaria scolpita nel cuore del paese. Il piccolo slargo ospita un elegante Teatro Comunale.
Sul muro esterno una iscrizione su pietra ricorda la Medaglia d’Argento al Merito Civile, che il presidente Napolitano conferì alla cittadinanza per l’eroismo dimostrato durante il conflitto mondiale.
In quegli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale, fu creato un campo di concentramento e la popolazione si distinse per l'accoglienza sensibile verso i confinati e gli sfollati.
La romantica passeggiata si dipana dal mare alla montagna.
Si comincia dalla parte bassa del corso, dove si apre un balcone sul mare pescarese, per arrivare nella parte alta, zona Rione Casale, dove si mostrano in tutta la loro bellezza le montagne del Gran Sasso e quelle della vicina Majella.
Entro nella biblioteca comunale per reperire spunti di visita e l’occhialuto custode dall'aria molto culturale, mi dona dépliant che raccontano la storia e le origini dell’antico centro “angolano” in antico “Angulum”.
Era così denominato da Plinio Il Vecchio nella sua descrizione delle terre vestine che si trova nel libro “Naturalis Historia”. Proprio qui, nella “Civitate Sancti Angeli”, insisteva un abitato vestino-romano di grosse proporzioni che secoli dopo, divenne un poderoso Castrum fortificato dei Longobardi.
Scopro che questo pezzo d’Abruzzo organizza tante manifestazioni culturali ed eno gastronomiche e che d’estate molti turisti lasciano le spiagge per qualche ora di frescura e di cultura.
Tra l’altro mi dicono che da queste parti si mangi alla grande!
Ci credo, gran parte del territorio comunale è ricoperto da rigogliose culture di uliveti e vigneti e numerose aziende agricole fanno a gara per sfornare prodotti tipici genuini e gustosi. È una cucina che risente dei sapori teramani, dato che il territorio intorno gravitava sulla nostra provincia, ma anche delle contaminazioni dell’entroterra pescarese.
Il Signor Di Domenico, teramano di nascita e mio amico di gioventù, trasferitosi per amore nel borgo, mi magnifica gli "arrosticini", la pasta alla mugnaia e lo squisito “cif e ciaf”, prelibato spezzatino di maiale.
È ora di ripartire.
Il tempo di un caffè con un mostacciolo nel bar centrale e via verso nuovi lidi.


Come raggiungere Città Sant'Angelo:

Da Nord e da Sud
Dall'autostrada Adriatica A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara), uscire a Pescara Nord/Città Sant'Angelo, continuare sulla SS 16 in direzione Montesilvano/Penne, proseguire seguendo indicazioni per Città Sant'Angelo.
Da Pescara
Percorrere la SS 16 seguendo indicazioni per Città Sant'Angelo.

Info al Comune: Telefono: (085) 96961