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mercoledì 18 marzo 2015

La cittadella scomparsa a Teramo!

La pioggia, caduta giù da nuvoloni lunghi come sgombri, ha reso piazza Garibaldi a Teramo quasi inguardabile.
Fiumi d’acqua continuano a scendere da viale Crucioli, cozzando contro il cemento dell’Ipogeo.
È come se, avendo perso la storica fontana, ogni slancio cittadino che parte da questo slargo principale sia sopraffatto, generando un rassegnato e neghittoso fatalismo.

Piccoli fiori spontanei rossastri sono spuntati sopra la terra incolta dello scatolone ferrigno che è la fantascientifica costruzione.
Pare scimmiottare il famoso cubo del Louvre di Parigi.

È la futura sala espositiva di una città che purtroppo ignora cosa significhi la parola “museo”.
Basterebbe guardare le presenze che conta la Pinacoteca o il museo archeologico.

L’Ipogeo deve diventare il fiore all'occhiello di una città che mette al primo posto la cultura, fu detto.
Noi siamo in paziente attesa.

Mi torna in mente l’ormai lontano 2008, quando, nel corso degli scavi che furono compiuti al centro di piazza Garibaldi per la costruzione di questa grande sala espositiva, progetto che ripeto ancora non vede la sua fine e vituperato da gran parte della cittadinanza, tornarono sorprendentemente alla luce le antiche pietre di un edificio che gli esperti individuarono come il castello degli Acquaviva.

Gli storici Muzio Muzi e Niccolò Palma nei loro studi, perché a quei tempi si studiava davvero, l’avevano scritto più volte che esisteva proprio in questo luogo, un castello, edificato da Giosia Acquaviva, duca di Atri, nella prima parte del 1400.

La storia ricorda che avvenne proprio allora l’infeudamento di Teramo alla potente famiglia.
Il nobile aveva individuato nella attuale piazza fuori dalle mura nord occidentali della città, dall'accesso di Porta San Giorgio, il luogo ideale dove far sorgere la sua lussuosa residenza.

I locali interni a uso del duca, pare fossero interamente decorati da tessellati pavimentali e da intonaci pregiati.
Tutto era ulteriormente arricchito da affreschi importanti.
Parliamo di un sito molto ricco nel cuore della zona verde dell’abitato teramano, dove c’era un laghetto, diversi animali tra cui volatili rari e un ampio giardino che conferiva all'insieme una veste da reggia preziosa.
Quella che fu edificata, insomma, era una vera e propria cittadella rinascimentale, una sorta di fortilizio con tanto di fossato pieno di acqua e ingressi multipli.
Era un parco urbano oggi completamente perso.

Abbiamo un’insignificante appendice nella villa Comunale in abbandono se si guarda agli alberi e al piccolo stagno, dove galleggiano rifiuti.
Nei locali sotterranei vi erano le carceri, dove erano rinchiusi i numerosi oppositori che non volevano riconoscere il primato degli Acquaviva.
Per molti Teramo, infatti, era una città regia dipendente solo dal Regno di Napoli.

Muzi raccontò anche di sale tortura, dove i biechi sgherri del potente feudatario, carpivano confessioni e costringevano i malcapitati a svelare i nomi di chi tramava contro il potente casato.
Qualche lettore interessato si chiederà se è possibile che di tutto questo non ci sia più traccia alcuna.

E che, anzi a guardare oggi questa piazza, sembra assurdo ciò che è stato scritto dallo scribacchino che leggete.
Eppure è stato così.
Ma, ditemi, come stupirsi, dato che a Teramo e in parte d’Abruzzo, qualsiasi rinvenimento è mucchio di pietre da inciampo che dilatano i tempi per nuove costruzioni?

Fateci caso!
Nonostante il territorio abruzzese sia stato protagonista nell'ultimo quarantennio di rinvenimenti eccezionali per l’archeologia di ogni tempo, le scoperte non hanno quasi mai risonanza fuori dai confini regionali.
Questo accade non solo per scavi che portano alla luce resti di popolazioni italiche della notte dei tempi, ma anche per altre epoche più vicine, a dimostrazione di quanto l’Abruzzo sia stato importante snodo e crocevia territoriale della storia e che questo sia oggi dimenticato completamente.

A Teramo, poi, come ampiamente dimostrato, siamo maestri nel minimizzare le eventuali scoperte, cercando di non renderle visibili e fruibili né ai cittadini, tanto meno ai pochi visitatori che si avventurano dalle nostre parti.



La verità è che siamo incuranti sia delle eventuali vestigia dell’antica Interamnia, sia di un passato più vicino ma comunque da dimenticare.
Alla felicità stupita della scoperta si associa lo sgomento per la consapevolezza che del tempo molti sono incapaci di cogliere con immediatezza la profondità e la ricchezza di un patrimonio archeologico da difendere e far conoscere.
Questo ha portato e porta la politica a una mancata tutela della storia in preda alle inevitabili problematiche derivanti dalle continue trasformazioni del territorio.

In città esistono esempi clamorosi come la dimenticata domus romana di via del Baluardo, la sconosciuta casa mosaicata di Bacco in via dei Mille o il famoso mosaico del Leone tutti inaccessibili ai nostri occhi.
Se ci spostiamo in periferia il parco archeologico della Cona e l’importante Via sacra degli Interamniti è preda di palazzi costruiti o in costruzione.
Perché stupirci?