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sabato 26 luglio 2014

La chiesa dedicata alla mamma della Vergine Maria a Teramo!

La piccola chiesa di S. Anna dei Pompetti, nella piazza omonima di Teramo, la più antica della città, era dedicata un tempo a San Getulio, religioso molto amato nel teramano.
Fu molto probabilmente eretta nel periodo bizantino, circa VI secolo e questo la rende uno dei monumenti più vetusti d’Abruzzo. Le notizie sicure si datano comunque dal secolo IX, anche se dagli scritti della nostra teramana la studiosa Anna Maria Cingoli, scopriamo un documento iniziale dell’897 dove si racconta di una donazione a favore del vescovo di allora del conte aprutino Manfredi.

Oggi questo tempio rappresenta un cospicuo resto dell’antica cattedrale di Teramo di Santa Maria Aprutiensis, anteriore al secolo VIII, edificata su di una domus privata romana e distrutta dal barbaro Roberto di Loretello detto di Basville e le sue truppe nell'immane incendio che devastò la capitale dei Pretuzi
a metà del XII secolo.
La cattedrale era grande e si estendeva in larghezza fin dove poi fu costruito il bel palazzo della famiglia Savini, ancora oggi esistente e adiacente la piazza.
In quel tempo Teramo era governata dai conti aprutini, dipendenti dal re normanno Ruggero II.
I principi del regno di Sicilia approfittarono della morte del re nel 1154 e della salita al trono del debole figlio Guglielmo I, per inscenare una profonda ribellione che sfociò in una guerra nella quale l’epilogo fu la terribile messa a sacco della cittadina teramana. Come per un miracolo e i teramani ne furono convinti, le spoglie del glorioso San Berardo rimasero illese, nascoste com'erano sotto delle pietre di una minuscola cappella a lui dedicata.
A Teramo rimase in piedi qualche mura di Santa Maria a Bitetto, la piccola casa medievale dei Francesi di cui parlo in altre pagine del blog e parte del chiostro nel convento francescano delle Grazie. La torre accanto
all'antica cattedrale fu bruciata e oggi è visibile la parte più bassa proprio dietro l'ingresso del tempio.
Tant'è che l'intero quartiere è conosciuto come quello di "Torre Bruciata".
Del vasto edificio rimase solo una piccola parte di cui erano in piedi tre minuscole campate e il presbiterio.
Quel che resta della domus e dell’età romanica è ben visibile all'interno della chiesa attuale.
L’antica cattedrale raggiunse la massima importanza certificata da una bolla del 27 novembre 1153 di papa Anastasio IV che la definì “sede permanente dell’intera diocesi aprutina”.

All'interno da vedere c’è la bella statua di cartapesta raffigurante S. Anna con la Madonna bambina, appena restaurata e restituita al culto in questa settimana di luglio e un antico affresco in fondo al piccolo presbiterio di autore sconosciuto.

mercoledì 16 luglio 2014

San Pietro alla Ienca: dove Wojtyla amava pregare!

L’imponente statua bronzea di Karol Wojtyla, capolavoro d’arte sacra dello scultore Fiorenzo Bacci, mi accoglie proprio davanti alla chiesetta montana di San Pietro alla Ienca.
Mentre arrivavo in questo luogo bellissimo, da dove si gode la vista di boschi immensi, si discuteva sul nome. In qualche sito internet troviamo Ienca con la J, in altri è lo Ienca e non la Ienca, addirittura nel sito della Regione in un punto si trova indicato con la G!
Rimane comunque, di là dalla disputa sull'etimologia, un posto bellissimo.
Guardo intensamente la figura del papa santo che, avvolto in vesti liturgiche, pare vera. Gli occhi appaiono rivolti al futuro e con la mano benedicente pare indicare che il cammino verso il Regno dei Cieli passa attraverso la splendida valle del Vasto, ai piedi del Gran Sasso.
Le sopracciglia e le pieghe caratteriali del volto leggermente corrugato, sembrano formare il disegno di una colomba e i piedi scalzi, come novello San Francesco, ricorda la sua infinita voglia di pace nel mondo, che ha ricercato senza posa per tutto il suo pontificato.
Il “Totus tuus”, motto del suo papato, ricorre idealmente nell'immagine del Cristo Risorto sulla sua mitria, mentre dei piccoli chiodi ricordano l’immensa sofferenza degli ultimi anni di vita. Sulla stola c’è la celebre frase “Non abbiate paura”, che disse ai giovani nella ormai famosa prima Giornata della Gioventù.
Nella mia mente torna un’immagine molto cara: il ricordo di una Pasqua in cui la televisione mostrava un diacono incensante che cantava il testo evangelico della solennità. Il religioso, finita la proclamazione, richiuse il testo sacro, lo elevò e lo portò, processionalmente, verso Giovanni Paolo II che presiedeva la celebrazione liturgica. Fu allora che le telecamere, impietose, indugiarono su di un pontefice sofferente che, con gran fatica ma con gioia negli occhi, accolse baciando il libro dalla legatura argentea tempestata di gemme, per poi benedire l’assemblea tutta.
Oggi, fresca mattina di un giugno del 2014, il borgo di San Pietro è vuoto.
Il minuscolo abitato è uno dei tanti agglomerati sub urbani che nel secolo XIII, fondarono quella che poi sarebbe diventata la città dell’Aquila.
Quando la vallata si popolò grandemente, il piccolo villaggio divenne semplice appoggio per attività agricole e per pastorizia, luogo di scampagnate familiari e di camminate solitarie.
Le case abbarbicate su di uno sperone roccioso che sbarra il vallone del Vasto, grazie alle ripetute visite del “Papa Grande”, sono diventate famose per essere situate in uno dei luoghi dello Spirito più importanti d’Abruzzo, meta di interesse non solo religioso, ma anche turistico ed escursionistico – ambientale con i suoi bei percorsi per mountain bike o per cavalli e cavalieri.
I proprietari delle casupole che coronano la piccola chiesa e l’antico fontanile pastorale, hanno ristrutturato con garbo, grazie anche alla nuova vitalità commerciale dei dintorni.
Peccato che la chiave della chiesa sia irreperibile, persa nelle tasche del parroco locale che, naturalmente, è difficile trovare, perso com'è tra varie parrocchie distanti tra loro e impegni.
Giro, un po’ deluso, intorno al piccolo edificio che si trova a mille metri di altezza, risalente al secolo XIII, ammirando i suggestivi paesaggi boscosi. Dietro al tempietto si trovano anche posti, dove poter cucinare carne alla brace e mangiare in allegria.
Sbirciando dal buco della serratura, intravedo a fatica l’unica navata con la volta a botte in pietra. Sempre in pietra è anche l’altarino, luogo della mensa eucaristica.
D’improvviso, la voce sgraziata alle spalle mi fa trasalire.
Il vecchio pastore è caratteristico. Nell'immaginario davvero potrebbe essere il prototipo del transumante abruzzese.
L’uomo mi chiede cosa stia facendo.
Pensavo fosse chiaro, dico, che vorrei entrare per scattare qualche foto.
Ecco che lui si mette a raccontare una storia incredibile! Fu lui a vedere il papa, quando giunse su queste montagne, spinto dal suo amore per il creato e il suo Creatore.
Wojtyla, secondo lui, non è mai entrato in quella chiesetta! Ha pregato fuori le mura perché questa porta è di solito chiusa, mi dice, in chiara polemica con gli addetti comunali o forse col parroco.
Lui ha visto e parlato col papa polacco quel giorno in cui, seduto sullo sperone roccioso più alto verso la montagna, vide salire dalla stradina sbrecciata, una serie di automobili nere, di gran cilindrata e dai vetri oscurati. Le guardie del corpo, nella prima vettura, si fermarono davanti a lui e chiesero se conoscesse il papa.
“Figuratevi – disse il pastore- se pensavo al papa. Piuttosto mi preoccupavano i lupi che spesso qui divorano le mie pecore. Dissi agli uomini con gli occhiali da sole che ... io il papa lo vedevo ogni tanto nel telegiornale della sera, quando faccio cena”.
Si aprì automaticamente una porta della terza auto e dentro, sorridente, c’era proprio il polacco santo!
Il papa parlò qualche minuto col vecchio pastore, declinò ringraziando l’invito di recarsi a casa sua per un assaggio di ricotta e regalò all'uomo un bel rosario con lo stemma di San Pietro.
Il pastore ha onorato questo straordinario incontro, commissionando una stele in pietra, eretta nel punto in cui vide Karol in quel mattino.
Il papa è tornato altre volte, pregando anche nella radura fuori la chiesetta, arricchendo di sacralità il nostro Abruzzo, già attraversato, secoli prima, da un altro pontefice non meno grande, Celestino V, l’eremita del Morrone, l’uomo della Perdonanza.
Oggi San Pietro alla Ienca ha una sua identità, un pezzo di paradiso per tutti e non solo per qualche locale e solitario pastore o escursionista amante della natura.
Dall'abitato chi ha buone gambe può raggiungere il torrione roccioso dedicato al papa e già Monte del Gendarme, 2424 metri di altezza lungo le frastagliate creste delle Malecoste.
Il Gran Sasso serba anche il ricordo del papa alpinista Pio XI cui nel 1929 fu intitolata una cima in prossimità del Pizzo di Intermesoli.

San Pietro è tra Assergi e Camarda, uscita autostrada Teramo L'Aquila Assergi. 
Proseguire non verso Campo Imperatore ma sulla vecchia strada per Teramo via Capannelle. Distanza dallo svincolo autostradale, circa 8 chilometri

sabato 12 luglio 2014

Il teatro delle beffe!

Credo converrete con me che, in qualsiasi città d’Italia, un monumento come il Teatro Romano di Teramo sarebbe il classico fiore all'occhiello del turismo storico e architettonico dell’intero Abruzzo.
Le pietre secolari, raffinate e eleganti, testimoniano la vocazione multi millenaria della terra aprutina, testimone di civiltà antichissime che partendo dai Pretuzi, Fenici, fino ai Romani, caratterizzarono la vita sociale dei nostri luoghi.
Il monumento, al contrario, è segno di discordia e d’indifferenza.
Il meraviglioso Teatro che definirei “delle beffe”, continua da infiniti anni a essere un esempio poco edificante di mala tutela, assolutamente da non imitare, pur essendo, senza dubbio, il massimo bene archeologico in regione.
Insieme a esempi fulgidi come gli antichi centri di Amiternum, in prossimità dell’Aquila e Alba Fucens nel parco Velino Sirente, il teatro rappresenta un unicum anche per la sua posizione al centro della città e per quello che potrebbe rappresentare un percorso archeologico ineguagliabile, tra anfiteatro, terme e antiche
stradine romane.
Nonostante le traversie subite il monumento è il meglio conservato tra i teatri del Piceno.

Parliamo, a beneficio di chi non ha mai visitato Teramo, di un’opera prodigiosa dell’era augustea,(30-20 a.C.) uno dei massimi esempi dei tempi d’oro dell’antica Roma, costruita nel secondo secolo dopo Cristo con l’imperatore Adriano.
È un unicum di una città che è un incredibile concentrato di arte e storia, sottovalutata anche dai suoi cittadini che ignorano quale tesoro di percorso potrebbe nascere dalle pietre dell’Anfiteatro del I secolo, la Domus Romana e la successiva basilica del VI secolo d. C..
Oggi, dopo millenni e cataclismi, fra cui quello ultimo, disastroso del sisma nel 2009, il teatro è ancora lì, sebbene soffocato dall'indifferenza e da due obbrobri di palazzi, il Salvoni e l’Adamoli, che dai tempi del
fascismo vengono annunciati in prossimo abbattimento, ma che resistono imperterriti nel rovinare l’insieme e il colpo d’occhio in grado di arricchire il turismo in città.
È ancora al suo posto il vecchio teatro, sebbene rimaneggiato da vari interventi disastrosi come quello in cui la “cavea” venne deturpata dalle ruspe che fecero cadere delle arcate che oggi non esistono più.
Nel frattempo anche il vicino Anfiteatro è stato “violentato” negli anni’60 e ’70 quando improvvide licenze hanno permesso costruzioni come il palazzo vescovile della Curia, quasi raddoppiato nella sua ampiezza fino a toccare e in alcuni casi ad abbattere arcate di pietre millenarie.

Da anni ci si riempie la bocca di un percorso storico che regali, al visitatore, l’inedita sensazione di vivere come dentro una macchina del tempo, in una sorta di “Piccola Roma”. Si favoleggia da anni di un parco
archeologico urbano finalizzato ad una più ampia fruizione pubblica degli straordinari tesori archeologici della città antica della
Interamnia Praetiutorum, città parzialmente scoperta, molto saccheggiata ma che serba nel suo cuore pulsante gran parte delle sue autentiche strutture.
È chiaro a tutti che i palazzi sarebbero da abbattere. Chissà cosa uscirebbe ancora fuori dal sottoterra durante i lavori?
Se non avesse ragionato in questi termini lo storico e archeologo teramano, Francesco Savini nel lontano 1902, oggi non avremmo questa grande porzione di monumento storico con il suo fantastico fronte scena, i 24 pilastri con le arcate sovrapposte in opera quadrata di arenaria, numerosi muri radiali di sostegno e piccole scale di accesso alle gradinate.
Se Teramo prendesse a esempio la capitale d’Italia, Roma, che negli anni trenta iniziò un cammino di estrazione di quello che un tempo era la magnifica area dei Fori Imperiali, oggi la città sarebbe meno povera e più ambita da chi viene in Abruzzo.

Opportunismo, incuria, improvvisazione, indifferenza, imbrogli, speculazioni affaristiche, abbiamo visto di tutto nella storia recente del Teatro Romano e dei palazzi centenari che lo coronano.
Tutto questo continua coerentemente in località Ponte Messato della Cona dove, sul percorso archeologico della cosiddetta antica “via Appia teramana”, hanno costruito palazzine, sotterrando irrimediabilmente la
storia e soffocandola di cemento armato!

Tant'è! Nessuno può negare che la Regione Abruzzo, la Provincia di Teramo, la Sopraintendenza alle Belle Arti, il Ministero dei Beni Culturali e perfino il Comune, si siano mostrati negli anni inadeguati a gestire un problema d’immagine di enormi proporzioni.
Di questi esempi negativi l’Abruzzo è pieno! Si pensi all'attuale abbandono al suo destino dell’Aquila, la mancata valorizzazione di aree pregiate per la storia, penso al borgo medievale di Castelbasso, vicino a noi oppure la mancata riqualificazione di grandi conventi come quello di San Giovanni di Capestrano o delle numerose abbazie cistercensi, l’abbandono di antichi conventi, i numerosi ponti romani nel degrado assoluto.
Purtroppo la Storia, quella con la S maiuscola viene violentata giorno per giorno!
La speranza è che il progetto finanziato dalla Fondazione Tercas, fra le istituzioni più interessate al recupero, presentato alla Regione Abruzzo, prima o poi venga almeno preso in considerazione!

giovedì 10 luglio 2014

Il gioiello d'Abruzzo: Santo Stefano da Sessanio

Il borgo medievale di Santo Stefano di Sessanio è, tra i monumenti dell’uomo, forse il più suggestivo dell’intero Parco Nazionale del Gran Sasso e monti della Laga.
Il piccolo paesino, che vanta anche esempi rinascimentali, situato alle pendici del versante meridionale del massiccio più alto degli Appennini, si trova a un’altezza di 1251 metri sul livello del mare.
Parliamo di un abitato costruito prevalentemente in pietra bianca calcarea locale, brunita e resa opaca dal tempo.
I tetti, con i suoi larghi coppi, offrono al visitatore un’armonica visione d’insieme, in parte rovinata dal disastroso sisma del 2009 che ha raso al suolo, irrimediabilmente, la singolare e caratteristica torre medicea del Trecento, che dava un tocco ulteriore di classe e arte di decoro architettonico da cui partiva l’abitato strutturato in ellissi concentriche e altrettante scalinate ripide.
Il nome del paese “di Sessanio”, risale al latino Sextantia, appellativo con cui veniva chiamato il piccolo pagus romano che un tempo era ubicato nei pressi dell’attuale chiesa dedicata al Protomartire Stefano, ai piedi di un colle su cui sorse, in seguito, il villaggio. Sextantia era a sei chilometri dall'importante "pagus" dedicato a San Marco tra Castel del Monte e Calascio.
Da non perdere la passeggiata a piedi lungo le strette vie e le erte gradinate, i tortuosi selciati che si insinuano tra le case e i percorsi inediti ricavati sotto le case e creati per difendersi dai rigori dell’inverno e dalle sue intemperie.
Del dominio della famosa famiglia dei Medici rimangono bei loggiati dalle linee pure ed eleganti, piccoli portali disposti ad arco con formelle fiorite e singolari bifore, gioie per gli occhi di esperti dell’architettura.
Lo stemma che ancora oggi campeggia sulla porta d’ingresso a sud est della Signoria di Firenze, testimonia i granelli di civiltà raffinata, di cui secoli fa godette questo minuscolo borgo pastorale, tutto da vivere con massima attenzione. Solo riservando la giusta concentrazione alla visita, il turista potrà scoprire piccoli edifici, case fortificate con palazzotti gentilizi del Quattrocento, balconi in pietra da cui godere spettacoli di paesaggio. In alcuni scorci è possibile abbracciare con lo sguardo le valli del Tirino e dell' Aterno, fino a scoprire pezzi del massiccio della Majella e la catena montuosa del Sirente, nel territorio di Avezzano.
Da non perdere la chiesa di Santo Stefano, edificata nel quattordicesimo secolo in unica aula a cinque campate.
Se qualcuno dovesse chiedersi il perché della potenza medicea nel borgo di montagna e così lontano dalla Toscana, deve approfondire la storia della Baronia di Carapelle, un insieme di più paesi, quali Castel del Monte, Calascio, Castelvecchio Calvisio e Carapelle Calvisio, oltre al borgo di Santo Stefano.
Era la Baronia appartenente alla famiglia toscana dei Piccolomini, già Conti di Celano e proprietari della Rocca di Calascio. Il paese di Santo Stefano era importante centro di avvistamento dei territori confinanti. Nel 1579 Costanza, figlia unica di Innico Piccolomini, cedette la proprietà a Francesco dei Medici, Granduca di Toscana. Questi fu quasi deriso per aver preso possesso di un luogo definito “ammorbato dalla puzza delle capre e delle pecore”. Tutti dovettero ricredersi quando, giunsero in paese e scoprirono un abitato bellissimo, creato intorno a una natura sontuosa.
Sotto il diretto controllo della famiglia toscana, Santo Stefano raggiunse il massimo splendore grazie anche a un artigianato eccellente di fabbricazione lana carfagna venduta in tutto il mondo dai mercanti. Questi, con le loro carovane, attraversavano le aride distese di Campo Imperatore, piccolo Tibet d’Italia, durante le stagioni più clementi per portare il prodotto ovunque, anche in mare attraverso i porti del Mediterraneo.
Anche i prodotti della terra ebbero grande impulso e ancora oggi rappresentano al meglio l’economia locale:
Lenticchie biologiche e di alta qualità, oggi rinomato prodotto DOP dalle piccole dimensioni con crosta rugosa, da servire con quadratini di pane fritto in olio di oliva o con patate e erbette locali;
le mandorle, raccolte nei mandorleti in zona, di gran gusto e adatte alla creazione di succhi;
La cicerchia, antichissimo legume di alta digeribilità, prodotto lì dove la terra appare più arida e crepata;
La carne degli agnelli di ottima qualità allevati nella piana di Campo Imperatore che nella tradizione locale viene cotta in pentola con formaggio e uova.
Lo spopolamento dell’antico villaggio , dopo l’Unità d’Italia, e in seguito al fenomeno della emigrazione accresciutosi dopo la Grande Guerra, è certo stato un fatto negativo, ma in parte ha contribuito alla tutela dello straordinario patrimonio storico e architettonico del paese, in gran parte, riconvertito anni fa a mirabile e accogliente “Albergo Diffuso”.
Oggi Santo Stefano è nella particolare cerchia dei borghi più belli d’Italia.

Arrivare:
Da Nord
Dall'autostrada A14 seguire la direzione Ancona, uscire a Teramo/Giulianova/Mosciano Sant' Angelo, proseguire in direzione L'Aquila, imboccare l'autostrada A 24, uscire a L'Aquila Est, prendere la SS 17 in direzione di Pescara, svoltare in direzione di Santo Stefano di Sessanio.
Da Sud
Dall'autostrada A14 seguire la direzione Pescara, continuare in direzione Roma, prendere l'autostrada A 25, uscire a Bussi/Popoli, seguire le indicazioni per L'Aquila, continuare sulla SS 5 e poi sulla SS 153 in direzione Navelli, prendere la SS 17 in direzione di L'Aquila e proseguire seguendo indicazioni per Santo Stefano di Sessanio.
Da L'Aquila
Percorrere la SS 17 in direzione di Pescara, proseguire fino alle indicazioni per Santo Stefano di Sessanio.

sabato 5 luglio 2014

Le incredibili polle delle Sorgenti del Pescara

Le Sorgenti del Pescara, ubicate nella parte settentrionale della valle Peligna, non lontano dalla città termale di Popoli e delle ultime propaggini del Gran Sasso, sono una delle zone umide più importanti d’Abruzzo.
Il cuore della Riserva naturale è costituito da un vasto specchio d’acqua cristallina creato da una incredibile concentrazione di numerose sorgenti e polle d’acqua.
Un vero tesoro naturale per l’intera valle.
Il fiume Pescara raccoglie piccoli rivoli e deboli sorgenti di piccoli torrenti di montagna. Sono ruscelli e fossati che attraversano il territorio di Roccamorice, Abateggio e Lettomanoppello e che, a pochi chilometri da Scafa, nella valle sotto Caramanico, prima di unirsi al Pescara, forma le acque sulfuree del Lavino.
Qui esiste un’altra area protetta, un Parco Territoriale attrezzato con resti di archeologia artigianale di mulini ad acqua.

Le “polle” testimoniano la presenza mirabile delle numerose risorgive ubicate sotto lo specchio d’acqua in un tragitto sotterraneo che dalla montagna arriva a Popoli in quantità di circa 7000 litri al secondo.
Questo turbinare di acqua dal Gran Sasso e dalla vicina Majella sud occidentale, crea una ricchezza che, ancora oggi, produce i suoi frutti in campo industriale e agricolo.

La zona protetta è piccola ma ha molte particolarità naturalistiche che si coniugano mirabilmente con l’azione antropica dell’uomo, che lungo il corso del fiume ha creato canali, barriere e antichi tratturi.
Il parco è dotato di zona picnic e di luoghi comodi dove scoprire in tranquillità la vegetazione fatta di salici, pioppi neri monumentali, frassini e boscaglia cedua bassa di macchia mediterranea.
Risalendo la parte alta della Riserva, da dove c'è uno splendido panorama su Popoli, il Catello Cantelmo e le gole, si scoprono anche begli esemplari di Pino d'Aleppo, Lecci e Roverelle, tra macchie di ginestre e fiori selvatici.
Esistono anche molti alberi da frutta come i Ciliegi e i Peri selvatici.

Il parco ha attrezzato anche un'area didattica dedicata alle scuole e ai progetti ambientali per i giovani.

Nell'area protetta nidificano splendidi Aironi Cenerini. Tra i volatili si annoverano lo Scricchiolo, la Capinera, il MerTrlo, il Pettirosso, la Canapiglia, l’Alzavola e numerose specie di Rondini Reali.
I mammiferi sono rappresentati dai Ricci, le Faine. Le Donnole, i Tassi e le Volpi.
Numerosissime le specie di insetti presenti nella zona. Nello stagno vivono le libellule e anfibi vari tra cui il Rospo Reale.

I due parchi Sorgenti del Pescara e del Lavino si raggiungono attraverso la A25 Pescara Roma, uscita Alanno Scafa poi verso Decontra, circa 4 chilometri o uscita Popoli.

http://www.riservasorgentidelpescara.it/