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lunedì 30 settembre 2013

Nel silenzio di Sant’Irene a Catignano

Il silenzioso diventa fonte di grazia per chi ascolta! (San Basilio)

Il silenzio regna sovrano.
Potrebbe quasi dare fastidio in una società che come afferma Max Picard, ha l’uomo come appendice del rumore.

Invece questo luogo sacro è il posto ideale per ritrovare anche solo un briciolo della propria umanità attraverso la riscoperta dell’antichissima arte di “ascoltare il silenzio”.

Nell’entrare all’interno del convento di Santa Irene, a poca distanza da Catignano nel pescarese, tornano alla mente le parole di Eraclito che ai suoi tempi così lontani da noi già si lamentava dei suoi simili “incapaci di ascoltare, capaci solo di parlare”.
Questo santuario è la palestra del silenzio, l’esaltazione dell’essenzialità del silenzio.
È come riscoprire d’un tratto la propria vita interiore, quella autentica che credevamo persa.

Bella la lunetta che sormonta l’entrata dove si trova un bassorilievo di S. Anna con Maria Bambina che ricorda come la chiesa fosse inizialmente dedicata alla Natività della Madonna.

La particolarità della scultura è nei tre fori che si trovano sulla fronte della madre della Vergine a rappresentare la lungimiranza, dal petto della dolcissima Bambina a significare la coscienza e dai piedi delle due donne a simboleggiare la materia e la vita terrena.

Dicono fossero aperture che contenevano gemme preziose che brillavano al sole dando l’impressione di un qualcosa di vivente a chi si approssimava al portale.

Le pietre trafugate dai soliti ignoti, non sono state mai ritrovate.
Scopro attraverso un foglietto posto a lato dell’ingresso, che questo è un tempio censito da un singolare sito internet che si chiama LuoghiMisteriosi.it.

L’edificio in stile abbaziale romanico, dedicato alla santa vergine e martire, custodisce intanto mirabilmente, dall’anno 1847 in un’urna in vetro, le spoglie di questa giovane, recuperate dalle catacombe di Priscilla a Roma, inoltre ha una storia sontuosa che parte dalla realizzazione dei benedettini alla fine dell’XI secolo.

Qualcuno ipotizza anche un intervento precedente da parte dei cistercensi, di cui si notano tracce disseminate nelle tre navate.

Che le spoglie siano autentiche lo testimonia da una lettera del Cardinale Zurla che all’epoca certificò al cappuccino Padre Enrico che le ossa erano proprio della donna martirizzata per il Signore.

La chiesa, che ha avuto notevoli trasformazioni nei secoli, fu ripristinata definitivamente nel 1949 grazie alla Soprintendenza ai Monumenti e Belle Arti dell’Aquila.

A rendere tutto misterioso ci sono, disseminati ovunque, simboli antichi a cominciare da quello importantissimo detto “Sandalo del Pellegrino”.
Era una sorta di firma in pietra di chi aveva affrontato chilometri a piedi per vivere un pellegrinaggio di redenzione.

Preso da incontenibile voglia di scoperta, non sento neanche i passi dietro di me.
Pochi attimi dopo faccio conoscenza con un personaggio affascinante, Fra Giuseppe Antonio da Otranto.

Si tratta di un giovane che da alcuni anni è immerso in studi teologici negli istituti dei Padri Amigoniani che dal 1936 gestiscono come Terziari Cappuccini dell’Addolorata un centro di formazione spirituale nel convento accanto alla chiesa.

La sua voce stentorea m’introduce mirabilmente nei segreti di questo luogo incredibilmente affascinante.
Ecco che ai miei occhi si palesano i “Fiori della Vita”, simboli templari, a sei petali circoscritti in una circonferenza.

Il giovane frate, preparatissimo, mi ricorda che questo segno antichissimo era denominato anche “Sesto giorno della Genesi”, a richiamo perenne della grandezza del Creato e del suo Creatore.

Mi mostra poi degli enigmatici graffiti che riporterebbero un simbolo tra i più antichi al mondo: “La Triplice Cinta”, incastro di quadri attraversati da linee parallele.

Secondo la tradizione templare questo era, in virtù della presenza di queste incisioni sulle pietre, un luogo di enorme sacralità e ad alta carica energetica contenuta nei suoi sottofondi.

Le parole di questo incredibile terziario sono ferme ma parlano il linguaggio dell’amore verso gli altri, di una profondità d’animo di chi si appresta a diventare presbitero.

Usciamo sul retro della chiesa e nella bella parte absidale compaiono inquietanti mascheroni in pietra con volti umani e animali, guardiani posti a intimorire chi volesse entrare senza aver fede nel mistero grande di Dio.

Ma tu non devi temere - mi dice- ho già captato che sei molto credente!

E mi regala una bella immagine della giovane Irene che fece sua l’affermazione di Ignazio di Antiochia che disse: “Cristo è la Parola che procede dal silenzio, facendo risuonare dentro di se la necessità della presenza di Dio”.

Nell’andare via porto con me anche un’interessante pubblicazione a cura dello scrittore Fabio Ponzo che riassume tutte le notizie incredibili di questo luogo santo.
Proprio vero.

Sono questi posti, nascosti ai più, che aiutano a diminuire il prestigio del linguaggio e ad aumentare quello del silenzio.


Arrivare a Catignano:
Dall'autostrada Adriatica A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara), seguire la direzione Pescara Ovest/Chieti, A 24 per L'Aquila, A 25 per Roma, SS 81 direzione Penne, svoltare sulla SS 602 e percorrerla fino a Catignano.
Da Pescara
Percorrere la SS 16 in direzione Chieti, seguire le indicazioni per la SS 81 direzione Penne, svoltare sulla SS 602 e proseguire fino a Catignano.

martedì 24 settembre 2013

Il crinale Aprutino- Piceno: la via del vino su due ruote!

Tempo di vendemmia.
E allora, passeggiata in bici del professor Lucio De Marcellis con la signora Angela, sua moglie, del Coordinamento Ciclabili teramane, alla scoperta di un bel crinale al confine tra Abruzzo e Marche, una zona di vitigni e di ottimo vino.

Il percorso collinare su cui viaggiamo, in sella alla fidata bici, è stato battezzato “il Crinale Aprutino-Piceno”, in assonanza all’itinerario marchigiano chiamato “Il Crinale dei Piceni”.

Questa gita che andiamo a proporre, in collaborazione con gli amici delle associazioni ambientaliste, è una fantastica cavalcata che porta nel cuore di una delle “vie del vino” più importanti dell’intero Abruzzo.

Ci s’immerge nella vita di campagna, si scoprono facilmente antiche tecniche di lavorazione, visitando aziende centenarie, si raggiungono borghi incantati dai panorami fantastici e storici.
Di qui sono passate le orde dei barbari per recarsi a combattere contro Roma, qui Annibale ha ritemprato le sue truppe prima di giungere a Canne di Puglia per vincere la famosa battaglia, oggi rievocata in tutti i libri di storia.

Sono questi dei luoghi legati insieme dal “filo rosso” del Montepulciano e dal “gomitolo bianco” del Trebbiano, colossi della nostra produzione vinicola.
I ciclisti più allenati possono partire dalla costa adriatica: Villa Rosa o Alba Adriatica.

Il primo obiettivo sarà raggiungere Colonnella.

Tra i diversi itinerari più o meno duri, è stato scelto quello che parte a poche centinaia di metri a nord della rotonda sulla statale sedici di Alba Adriatica e che passa in località Rosati.

Al bivio di partenza la segnaletica indica la località Civita.
Man mano che ci si alza il panorama diventa meraviglioso, tra campagne, casali, viste sul mare e sulle colline circostanti.
Dopo sei chilometri dalla diramazione sulla statale 16, si giunge al primo centro importante della “via del vino”: Colonnella.

È un luogo bellissimo, tutto da vivere, con un panorama incantevole e aria salubre.
Il borgo è fatto di antichi palazzi, intrecci di viuzze, scalinate e piazzette caratteristiche.
Da qui in avanti il percorso è tutto da godere: inizia il crinale, sul quale la strada presenta un lieve saliscendi, alla portata di tutti.

Dall’alto si domina tutta la vallata del Tronto.
La successiva tappa è a Controguerra, che dista a 7 km.

Terra di grandi cantine come le aziende Monti e Illuminati, il bel paese dell’estremità settentrionale d’Abruzzo, offre la visita al Palazzo Ducale degli Acquaviva e al torrione medievale che domina la valle.
Sarebbe vivamente consigliata una deviazione per visitare Corropoli, celebre per la sua badia e per il palio delle botti, rievocazione medievale della disfida tra contrade, in onore della regina Isabella d’Aragona.
Si potrebbe deviare anche per Nereto o Torano Nuovo, riguadagnando in breve la costa.

Il percorso del crinale invece prosegue verso Ancarano, dal caratteristico centro storico, costruito su di un grande tempio dedicato alla Dea Ancaria.
Oggi vi spicca la parrocchiale della Madonna della Pace, al cui interno si conserva una bella effige della Vergine e le reliquie di San Simplicio patrono.

Interessante vedere la casa natale di Giuseppe Flaiani, medico famoso per i suoi studi sulla tiroide che rappresentano certezze scientifiche ancora oggi.

Il crinale ora si abbassa verso il fondovalle e ci porta a Sant’Egidio alla Vibrata.
Borgo antichissimo, la storia racconta di dure dominazioni longobarde del territorio conteso tra i ducati di Spoleto e di Benevento.
Gli insediamenti barbari si notano grandemente nel minuscolo paese abbandonato di Faraone, antico feudo di Berardo di Castiglione in posizione strategica sul fiume.
Sant’Egidio, insieme alla vicina Civitella del Tronto fu insignita dell’onorificenza di “città reale”.

Da questo luogo pregno di storia, si può tornare sulla costa adriatica pedalando sulla pianeggiante Val Vibrata in direzione di Garrufo (l’antica Castrum Rufi), Nereto e quindi Alba Adriatica.

Un’alternativa interessante è scendere nella vallata del Tronto e far ritorno al mare percorrendo la strada provinciale n. 1 nota come la Bonifica del Tronto.

Chi ha gambe allenate e vuole proseguire, può sconfinare nelle Marche ascolane risalendo leggermente a Maltignano e poi planare sulla valle a Marino del Tronto o addirittura raggiungere Ascoli Piceno, tra colori meravigliosi di colline incantate.

venerdì 20 settembre 2013

La torre triangolare a guardia della valle a Montegualtieri

“Fino a che non siamo chiamati ad alzarci, non conosciamo la nostra altezza, ma se ci alziamo davvero, arriva al cielo la nostra statura”. (E. Dickinson)

Non tutti sanno che nell’intero Abruzzo, le torri triangolari sono solamente due.

Uno di questi manufatti di origine altomedievale, denominato“Sutrium”, si trova a Bussi sul Tirino, non lontano da Santa Maria di Cartignano, dove rimangono solo pochi ruderi di una grande chiesa benedettina a tre navate, separate da arcate a tutto sesto, con pilastri quadrati e abside semicircolare.

L’altra torre si trova a pochi chilometri da Teramo e si presenta in tutta la sua magnificenza dopo un accurato restauro terminato nel 1976.

Ho deciso di raggiungerla!
È a pochi chilometri da casa.

Il borgo che ospita questa vedetta, Montegualtieri, frazione di Cermignano, è abbarbicato su di uno sperone roccioso a guardia della vallata del fiume Vomano, lungo il fianco di una delle tante colline.
Il minuscolo paese che oggi conta poco meno di cento abitanti, in origine aveva il nome di “Mons Sancti Angeli”, poi prese l'attuale denominazione da Gualtieri, signorotto che ne fu il possessore.

Dagli oltre diciotto metri di altezza della torre d’avvistamento, che poggia su di un basamento poderoso e alla sommità presenta una pregevole merlatura, è possibile ammirare un panorama grandioso che spazia dal Gran Sasso al mare.

La torre triangolare che dovrebbe risalire al Trecento e che ha pochi eguali in Italia, forse fu edificata così per ragioni logistiche, perché sufficiente con i suoi tre lati, a svolgere il compito di guardia alla valle.

Gli esperti tendono a giudicare poco probabili motivazioni di spazio o di tecnica costruttiva.
Questo fortilizio, insieme a Castelbasso, Castellalto e Morro d'Oro, era parte integrante della rete di comunicazioni ottiche per la difesa del territorio e garantiva un valido ed efficace sistema di
controllo.

Servì essenzialmente come postazione di avvistamento e di collegamento nel sistema difensivo.

Sotto di essa, nella vallata, passava la Salaria Caecilia, il cui percorso costeggiava Amiternum, nella piana di L'Aquila e raggiungeva anche Hatria, l'odierna Atri e poi la costa teramana.
In più, a lato del fiume Vomano c’era l’importante arteria che univa Ascoli Piceno con Penne, tra le più vetuste vie di comunicazione d’Abruzzo.

Internamente la torre di Montegualtieri era percorsa da una scalinata a chiocciola, in seguito distrutta da un fulmine che causò anche il crollo di uno spigolo della costruzione.

Le sue tre facce presentano contrafforti di diversa altezza, uno dei quali giunge fino alla sommità, dove un apparato sporgente delimita il cammino di ronda.
Le pareti presentano, oltre ai fori dei ponteggi, diverse altre aperture.
Si sa con certezza che per un lungo periodo, il manufatto fu di proprietà della nota famiglia dei Marchesi de Sterlich, signori di Cermignano e Castilenti, già proprietari negli anni venti della Torre di Cerrano a Pineto.

In seguito fu alienata da Diego de Sterlich Aliprandi, figlio di Adolfo, presidente del Senato del Regno d’Italia.
Era soprannominato il “marchese volante” per la sua irrefrenabile passione per la Maserati e per le gare automobilistiche che lo portarono a fondare l’autodromo di Monza e a confrontarsi con piloti come Nuvolari, Ferrari e Materassi.

La tradizione orale del popolo, attribuisce da secoli misteri e leggende alla torre di Montegualtieri che nasconderebbe nel suo interno, trabocchetti, sotterranei e persino un fantasma che negli anni ’60 terrorizzava gli abitanti dei dintorni con rumori infernali di catene trascinate.

Sarebbe stata l’anima sconsolata di una giovane e bellissima donna, moglie di uno dei tanti signori che ebbero potere su Cermignano e dintorni, che vagava nei luoghi della sua esistenza terrena.

Un giorno il marito, ossessionato dalla gelosia, la uccise trascinandola per i capelli e facendola precipitare dalla finestrella più alta della torre.

Alcuni camminamenti, scoperti negli anni ‘80 in diverse case più antiche del paese, farebbero supporre l’esistenza di un lungo cunicolo di fuga che dal piccolo castello, originariamente collegato alla torre, scendeva verso il fiume.

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Percorrere la S.S 150 Roseto degli Abruzzi- Montorio al Vomano, fino all'abitato di Castelnuovo. 
Svoltare in direzione Cermignano, Cellino Attanasio. 
Dopo il ponte sul fiume, girare a destra per Montegualtieri a cinque chilometri. 

giovedì 19 settembre 2013

Castel Menardo, antica fortificazione cassinese sull’Alento!

Nel mio vagabondare alla ricerca del bello in Abruzzo, una tappa imperdibile è il territorio di Serramonacesca, in provincia di Pescara.
Della splendida abbazia di San Liberatore a Majella, ho raccontato in altra parte del blog, insieme all’eremo di S. Onofrio, raggiungibile con una semplice passeggiata di venti, trenta minuti.

È questo il periodo forse più bello per scoprire dei posti meravigliosi, immersi nei boschi che si stanno per colorare delle tinte incredibili dell’autunno.

C’è un monumento, però di cui dobbiamo fare conoscenza.
 È la cortina muraria dell’antico Castel Menardo.
Posto in posizione dominante sulla bella valle del fiume Alento, i resti sono evidenti e interessanti da scoprire.

La rocca fu eretta per assicurare la difesa dell’abbazia benedettina.
Nonostante ciò il luogo sacro subì in più guerre, disastri spaventosi fino a essere distrutta sul finire del XV secolo.
La fortificazione è caratterizzata da un impianto triangolare ancora perfettamente riconoscibile.

In una delle sue estremità s’innesta in un corpo quadrangolare mentre, nei restanti vertici liberi, si trovano due torri circolari i cui resti si fanno ancora ammirare.

Con un po’ di attenzione il visitatore riesce anche a individuare i due enormi portali che un tempo davano accesso alle numerose arciere poste lungo la cortina di pietra, evidenziando tutto il carattere difensivo del manufatto.

Il Castel Menardo, per gli appassionati, può essere fonte di studio essendo stato accostato ad alcune fortificazioni cassinesi che hanno fatto tendenza nell’architettura difensiva del medioevo per la singolare accuratezza costruttiva delle murature.

Insomma la rocca, collocata in una spettacolare ambientazione, testimonianza storico culturale d’indubbio valore, potrà regalarvi una gita interessante.
Tornando all’abbazia, vale la pena di terminare la giornata con una bella passeggiata lungo il fiume per scoprire angoli incantevoli e inquietanti tombe rupestri, buchi nella pietra dove incredibilmente vivevano gli asceti in continua preghiera.

I tesori di Serramonacesca si raggiungono attraverso la A25 Pescara Sulmona, uscita Scafa, poi S.S. 539.

mercoledì 18 settembre 2013

L’abbazia fortificata sul fiume Nora: la badia di San Bartolomeo

“Nuvole senza pioggia, portate via dai venti, alberi di fine stagione senza frutto, morti due volte, sradicati. Astri erranti, votati all’oscurità delle tenebre eterne”. (Giuda 12-13)

Il cielo azzurro è striato da vapori bianchi.
Se non avete mai giocato con la forma delle nuvole, allora non siete mai stati bambini.
Io ci gioco anche da adulto.
Il passaggio delle nubi dona libertà alla mente, ai pensieri fragili ma lucidi, sottili come lame, ai pensieri scarnificati, sfrondati dell’inutilità delle cose.

La vallata del fiume Nora, alla confluenza con il Rio de Vito in territorio pescarese, al margine orientale del massiccio del Gran Sasso e a poca distanza dall’immensa piana del Voltigno, luogo ideale di pascolo, è quanto di più verde e boscoso si possa immaginare.
Eppure ogni volta che ci arrivo mi sento turbato.

Qui c’era una meravigliosa abbazia che per colpa di alcuni empi e dissoluti dagli atteggiamenti morali impuri, non riuscì a dare alla vallata un segno più profondo dell’esistenza di Dio.

Lo stemma di Carpineto con i tre alberi sormontati da un alto monte è il giusto biglietto da visita per un paese che, un tempo, sorgeva nel mezzo di un bosco di carpini.

La foresta intorno era così importante che nello stemma del comune e nella pietra bianca esagonale che fa da piedistallo al battistero della chiesa parrocchiale di San Rocco e Agata, trova posto un albero scolpito tra il Vangelo e l’aquila.

Il convento fortificato di San Bartolomeo rappresenta di per sé un valido motivo per arrivare fin qui.

A sorprendere il turista c’è anche uno splendido borgo dalla caratteristica architettura in pietra e altri piccoli villaggi completamente o quasi abbandonati, rimasti per gran parte intatti nel tempo.
Vicoli, ad esempio, é un minuscolo nucleo di case, antico insediamento romano a quasi mille metri di altezza, a strapiombo sul fiume Nora con angoli di gran fascino e i ruderi di un castello diroccato che
domina il borgo silenzioso.

Tornando a San Bartolomeo, la badia si trova a circa tre chilometri da Carpineto su di uno sperone roccioso al centro di un imponente anfiteatro di montagne.
Il 25 agosto, nella festa dedicata al santo, si svolge una bella processione dal paese all’abbazia attraverso un percorso naturalistico notevole.

Sembra che l’insigne abbazia benedettina, sorta nel decimo secolo, fosse stata costruita dal Conte di Penne, Bernardo che, ammalatosi gravemente, pensò di ingraziarsi Dio iniziando la costruzione nell’anno 962 di questo tempio da edificare a gloria del suo nome.
Il luogo sacro fu anche fortificato con poderose muraglie a sfidare gli elementi della natura.
Oggi non resta nulla delle antiche colonne.
Il complesso divenne famoso e fu arricchito da una reliquia importante: l’omero del braccio destro di San Bartolomeo le cui spoglie erano state trasferite dalle isole Lipari a Benevento.

Seguirono anni di grande prosperità per questo scrigno di arte e cultura che influenzò tutti i centri della valle tra cui la fiorente Brittoli e l’antico centro degli Equi, Civitaquana.

Furono memorabili le vicende raccontate da un monaco, Alessandro, che sotto il pontificato di Celestino III, scrisse le sue “Cronache” su grandi personaggi dell’epoca e le loro nefande vicende di guerra in Terra Santa.

Era il Marco Travaglio dell’epoca!

Gli scritti probabilmente, insieme a fenomeni di eresia “gnostica” di alcuni che esaltavano la supremazia dell’intelligenza al di sopra del divino, decretarono la fine di questo baluardo di civiltà.

L’annessione alla grande abbazia di Civitella Casanova, con più di cinquecento monaci in stretta dipendenza dei religiosi casauriensi, nel 1258, fece perdere a San Bartolomeo la propria autonomia,
decretando il progressivo declino.

Il monastero ospitò per diversi anni il monaco Erimondo, grande miniatore i cui codici sono noti a tutti gli studiosi. Nel centro di arte e cultura visse anche Marcantonio Casanova, abate che realizzò epigrammi contenenti aspre critiche al papa Clemente VII.

Il pontefice, dopo averlo conosciuto, rimase così colpito dalla sua inquietante personalità da perdonarlo per averlo deriso.
Incontro qui il mio amico Armando Florio.
È un uomo innamorato di questo luogo sacro.
 Quando penso a lui penso ad un grillo di un’energia irrefrenabile che a volte gli fa mangiare anche le parole.

Ha un sorriso dolcissimo e lo sguardo, dietro all’occhiale, spesso brilla.
Mi apre con gioia la sua casa.
Mi regala anche un bellissimo libro sull’abbazia.
Insieme poi andiamo a visitare il gioiello senza tempo.
La chiesa, dopo i recenti restauri, si presenta in ottimo stato.
È una costruzione semplice e austera, realizzata con blocchi di pietra locale.
Ricorda Santa Maria d’Arabona.

Sono subito colpito dall’armonia visiva trasmessa dall’abside rettangolare con lo splendido rosone, vengo anche accolto da un portale in pietra di rara bellezza scolpito riccamente con animali, tralci e foglie d’acanto intrecciate.

L’interno è maestoso e inquietante nella sua semplice bellezza, a tre navate separate da archi a tutto sesto.
Mi piace la scultura di una mucca in pietra che allatta il suo vitellino.
Un altare, apparentemente spoglio, a uno sguardo attento mostra originali piccole colonne scolpite finemente con teste di animali.

Ovunque si notano figure di uccelli, quadrupedi e mostri dalle curiose forme.
Troneggia anche la figura dell’Agnello con la croce.
Non perdere la cripta, ammonisce l’amico, conducendomi attraverso uno stretto corridoio.

Chi ha buone gambe, dopo aver ammirato questo capolavoro di arte sacra, potrà salire come faccio io verso il monte Fiore, balcone privilegiato sulla valle del fiume Nora, il Gran Sasso e la piana del Voltigno.

L’ascesa è agevole.

Il saliscendi non è complicato, il piccolo labirinto di strade sterrate non crea grossi problemi.
In cima la vista ripaga dello sforzo.

Tra un sipario e l’altro di nubi compare la cresta di montagne millenarie.

Le pietre lontane, appese a precipizi sembrano parlare.
Decido di accettare l’ospitalità di Armando.
Domani sul presto visiterò il borgo in pietra semi abbandonato di Corvara.
Mi arrampico in cima al passo.

Le curve tortuose mi entrano nella mente.
I due centauri, che sfrecciano a lato della mia auto, mi fanno pensare a “Easy Rider” film manifesto della controcultura americana.
Si srotolano davanti agli occhi le immagini dell’inizio della pellicola: i motori accesi, Peter Fonda che getta a terra l’orologio, lancia lo sguardo a Dennis Hopper e, via, verso l’infinito.

“Fa correre il motore a testa bassa, cerca l’avventura, cattura il mondo in un abbraccio d’amore”.

Che bella “Born to be wild” degli Steppenwolf!
Credevate non l’avessi dentro il porta cd?
È un magico inno al viaggio come ricerca della libertà!
Ora, lasciatemi cantare!

Attraverso una “compilation” infinita di tonalità grigiastre, mischiate al verde e al marrone.
Scorgo il bianco e nero juventino delle pecore e dei cani pastori che vagano come anime abbandonate.

Spesso vedo grandi fenditure marrone scuro nelle rocce e drammatiche pareti verticali.
I colori sono così vivi che sembrano ritoccati.
Chissà perché la mente mi porta all’opera di Munch, il maestro espressionista con il suo capolavoro de “L’urlo”.
Forse perché qui ci sarebbe davvero da urlare un evviva al Creatore.

Tutti noi creiamo un quadro della nostra vita, vorremmo che le cose si adattassero perfettamente ai nostri desideri.
Poi, ogni mattina controlliamo che il nostro quadretto sia uguale al giorno prima e lottiamo tutte le ore perché nessuno ci dia una pennellata non prevista.

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Raggiungere Carpineto e la badia attraverso A14, poi direzione Pescara Ovest/ Chieti, A24 per L'Aquila, A25 per Roma, S.S.81 direzione Penne, svoltare S.S602 e percorrerla fino allo svincolo per Carpineto della Nora (S.P.33).
Da Pescara percorrere la S.S.16 direzione Chieti, poi indicazioni per Penne, Cepagatti e svincolo per Carpineto.


lunedì 16 settembre 2013

L’eremo nascosto della Madonna dell’Altare

"L'ora più solare per me, quella che più mi prende il corpo, quella che più mi prende la mente, quella che più mi perdona, è quando tu mi parli". (Ada Merini)

Sono milioni.
In apparente stato confusionario si muovono brulicando e trasportando un’incredibile massa di aghi di pino per costruire nidi a cupola dove ospitare le famiglie.

Perché le formiche, ne sono convinto, hanno il culto della famiglia forse più dell’uomo.


È un movimento convulso che visto da vicino, può causare stress.
Eppure a me questo incedere forsennato e senza apparente senso, dentro e fuori il buco del formicaio, mi rilassa e quasi mi trasporta in un’altra dimensione.
Immagino una grande danza di massa, dove quest’incredibili insetti laboriosi si muovono sincronizzati al secondo.

Tutti volteggiano incessantemente senza curarsi di me, ignorandomi a più non posso.

Ricordano il meccanismo di un orologio svizzero e fanno percepire la magica illusione di un grande e unico essere vivente o di una società dove ognuno è parte dell’altro.


È la magia di un mondo perfetto che non esiste se non nei nostri sogni più nascosti.
Guardo l’orologio e mi accorgo di aver trascorso quasi quindici minuti ad ammirare questa fetta di ecosistema forestale.

Non sono lontano da Palena, paese della Majella orientale dominato dalle rocce del versante settentrionale del monte Porrara, elegante vetta che chiude a sud il crinale del complesso.

Abitato antico questo, gravemente danneggiato durante gli scontri tra alleati e tedeschi, nell’ultima guerra.

È per fortuna sopravvissuta alla distruzione e le cannonate nemiche, la settecentesca chiesa del Santo Rosario con la statua cinquecentesca della Madonna con bimbo.
Nel bombardamento fu distrutto il bellissimo castello dei duchi di Caramanico.
Oggi quello che si vede è una brutta copia dell’originale edificio.

La splendida faggeta che porta in otto chilometri al santuario della Madonna dell’Altare è un ambiente spettacolare e selvaggio.
La pittoresca costruzione è a 1272 metri di altezza.

All’inizio della sua lunga vita eremitica, dopo giorni trascorsi nei pressi di Castel di Sangro, Pietro da Morrone, il papa Celestino V, attraversò la zona degli altipiani e scese nella valle dell’Aventino.
Era il 1235.

Il santo rimase quasi tre anni in una grotta scavata sotto di un enorme masso così angusto da doverci stare in ginocchio o disteso.

Il santuario fu poi elevato intorno al XVI secolo per opera dei Celestini giunti da Sulmona a ricordare la presenza in questo luogo del loro fondatore.

I religiosi tennero il luogo sacro e il piccolo convento fino al 1807, anno in cui l’ordine fu abolito.
Allora una facoltosa famiglia del luogo, i baroni Perticone, provvidero a tenere in piedi l’eremo donandolo negli anni ’70 al comune di Palena.
Il nome della Madonna dell’Altare prende spunto dalla roccia su cui è poggiato l’eremo in pietra che fa pensare proprio a un grande altare.
Vado via da questo luogo a malincuore.

Qui regna pace e serenità.

Oltre il bivio dove ho lasciato l’auto, la statale sale al bellissimo e roccioso valico della Forchetta da dove la vista spazia sulle prime propaggini su uno dei più begli altopiani, quello delle cinque miglia.

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Per Palena:
Autostrada A24 uscire a Sulmona e proseguire in direzione Roccaraso – Napoli. Prima di arrivare a Roccaraso girare a sinistra in direzione Palena, Pescocostanzo e proseguire fino alla stazione di Palena. 
Arrivati alla stazione di Palena passare i “Valico della Forchetta” e proseguire in direzione Palena.
Oppure:
Val di Sangro, Casoli, Lama dei Peligni, Lettopalena.
Il santuario è a otto chilometri. 

domenica 15 settembre 2013

Maria e il Paradiso di Tocco

“Stimo, ch’il ciel m’inestasse amore d’eleggere per mia stanza un Paradiso.
A ciò dal mondo fosse più diviso per unirmi via più col mio Signore….
Pongo però nel tempo che m’avanza pria che l’alma si spogli del suo velo nel vero Paradiso ogni speranza”. (Su di una porta del convento)

Era il 1470 quando un gruppo di frati Minori della Regolare Osservanza arrivò fin sulle pendici del Monte Morrone, alla ricerca di un eremo dove condurre una vita ascetica fatta di rigore, privazioni e preghiera.
 Ai viandanti dovette sembrare proprio il paradiso quel piccolo tempio dedicato alla figura di San Flaviano.

Erano seguaci di Giovanni da Capestrano e avevano collaborato con il santo guerriero che girava in lungo e largo l’Abruzzo tra una battaglia e l’altra, a edificare conventi francescani.
Il frate battagliero era stato anche a Campli, dove aveva creato nella piccola piana di fronte al borgo farnese, il convento di San Bernardino arricchito, dopo la morte del fondatore, di un grande ciclo di affreschi dedicato alla sua imponente figura ancora visibili nel chiostro desolatamente abbandonato alla violenza del tempo.

Nel corso dei secoli l’eremo angusto assunse proporzioni ragguardevoli fino agli albori del seicento.
Ciò è testimoniato dalla data 1604 incisa sull’architrave della porta d’accesso al porticato superiore.

Nel bosco che oggi circonda il luogo, sul lato ovest c’è un gigantesco albero di lauro di forma circolare intorno ad un tavolo in cemento, piantato secondo la tradizione proprio dal seguace di S.Francesco.

Qui si raccoglievano in preghiera i religiosi, sul far della sera, per recitare i “vespri”.
Il convento non ebbe vita facile; subì due soppressioni, la napoleonica del 1811 e quella del governo italiano nel 1866.
Oggi, il visitatore che, attraverso la Tiburtina Valeria Claudia che unisce Roma a Pescara, giunge nel borgo di Tocco da Casauria di fronte, simile ad un bastimento immerso nel cupo verde della piccola foresta, scorge il maestoso edificio religioso di Santa Maria del Paradiso.

Pochi si inerpicano sulle pendici del colle per visitarlo.
Molti preferiscono aggirare la collina per andare a vedere la piana dove grandi pale eoliche girano le loro teste di ferro.

Gran parte dei turisti, poi, fermano la loro attenzione sulla splendida abbazia di San Clemente a Casauria nel fondo valle che più che un edificio religioso appare quasi come un palazzo con il suo portico a tre archi, l’ampio atrio, i portali ornati da sculture.

All’interno del complesso edificato dall’imperatore Ludovico II nel 871 e ricostruito nel XII secolo, tutti vogliono ammirare il grande ambone a cavallo tra romanico e gotico cistercense, l’elegante candelabro cosmatesco con l’edicola a due piani, il singolare altare maggiore costituito da un sarcofago paleocristiano e la cripta antichissima.

Eppure il convento di Tocco, alto sul colle a dominare la valle e le gole del Pescara merita una visita. Basta guardare, ad esempio, il chiostro rettangolare con archi sovrapposti che conferiscono all’insieme una veste severa.

Lungo le pareti, nell’arco delle lunette corrispondente alle arcate e alle crociere, sono visibili begli affreschi con episodi della vita della Madonna, della Natività e della Passione di Cristo.

Sono opere realizzate da ignoti pittori di scuola abruzzese con grandi capacità nell’uso dei chiaroscuri e delle prospettive.
Peccato che spesso il complesso sia chiuso a causa dell’impoverimento delle vocazioni.

Sono fortunato questa volta.
Il frate mi accoglie con l’aria di chi non ama immensamente vedere i forestieri.
Quando gli dico di essere un terziario francescano con trascorsi di Consiglio Regionale laico e di conoscere molti suoi confratelli, il sorriso si apre su di una bocca dall’impalcatura carente di denti.

Mi racconta del povero superiore, frate Virgilio, scomparso da poco, mi chiede di Padre Claudio, racconta di frate Candido che ora gira sempre l’Abruzzo e che spesso è nel convento della Madonna delle Grazie a Teramo perché è il centro più importante rimasto aperto.
Mi chiede se lì ci si trova bene il suo amico Padre Pio.
“Siamo ormai pochi” si schernisce.

Mi porta poi nell’improvvisato bar e, mentre carica la sua bella moka, mi dice che il caffè fa parte della liturgia d’accoglienza.

Non oso chiedergli se da solo si alza alle cinque per le orazioni o, al contrario, se ne strafrega beato.

Se trascina gli zoccoli per dire messa nella chiesa che presumo sia poco frequentata nei giorni feriali o se abbia legami forti con la comunità del paese.
In compenso scopro che ha l’artrosi e, purtroppo, anche l’alitosi.

“Vuoi un altro goccio di caffè, magari con correzione? – ecco la battutaccia – abbiamo tutti bisogno di correzione”.

Sarebbe interessante una visita all’antico refettorio dei frati.
Non tanto dal punto di vista architettonico dato che è reduce nel 1979 di un restauro di dubbio gusto, quanto per le tele dedicate alla Annunziata.
Dal chiostro si accede poi alla biblioteca conventuale dalle ampie volte a botte formate da blocchi di tufo.

Ma il vecchio religioso è restio a introdurmi fin là, soprattutto quando gli dico di aver visto tutte le sale qualche anno prima.
Deve aver capito che voglio scattar foto dal borsone che ho con me.

Quella volta che visitai il convento di Capestrano, riuscii a infilarmi dentro la grande biblioteca e vidi addirittura gli scritti di San Giovanni, dei meravigliosi codici miniati e degli incunaboli antichi.
Qui pare debba rinunciare.
Il rito d’accoglienza manca di un degno finale.
La creazione di questo angolo di cultura risale al secolo XV.

Peccato che nel 1811 per Ordine Regio molti dei codici, dei volumi preziosi, degli incunaboli del ‘500 furono trasportati a Napoli, nella grande Biblioteca Nazionale.

La piccola chiesa è in stile gotico rinascimentale e accoglie il visitatore con un bel portale in pietra contenente una lunetta affrescata nel ‘500 che ritrae la Madonna oggetto della devozione, ai lati, di San Francesco e San Giovanni Evangelista.

Nell’interno, prima di ripartire, mi soffermo beato, a guardare il bel coro ligneo di stile gotico con diciassette stalli.
Fuori il piazzale scorrazzano indisturbati e felici un cane e un gatto insolitamente amici.

Sono sempre stato convinto che gli uomini di Dio sanno sceglier bene i posti dove avvicinarsi al Creatore.

Per raggiungere il convento e Tocco, percorrere la Tiburtina Valeria Km.190, bivio Tocco da Casauria. 
A25 Roma- Pescara: 
Uscita Torre dé Passeri Casauria se provenienti da Pescara.
Uscita Bussi sul Tirino se provenienti da Roma  

venerdì 13 settembre 2013

Il miracolo di Serra!

Nel borgo antico di Serra a Rocca Santa Maria, immerso in bellezze naturali, boschi e vallate, grazie all’impegno dell’associazione “Il grido dei monti della Laga”, c’è stato il recupero della chiesina del S.S. Salvatore che versava in condizioni critiche con il tetto crollato e le mura ormai fatiscenti.

Praticamente erano rimasti solo monconi di mura.

Il paese semi abbandonato è a 1096 metri di altezza e si trova su di uno sperone di roccia che domina un fosso dal quale nasce il torrente Vezzola che è uno dei due corsi d'acqua che toccano Teramo, l'antica Interamnia.

 L’interno della chiesa esistente già in documenti del 1278, è a unica aula ed è impreziosito oggi da una bella tela, opera e regalo del valente pittore teramano Tommarelli.

 “Senza aiuti istituzionali e con un lodevole autofinanziamento di residenti e appassionati, è stato possibile rendere reale quella che anni fa sembrava follia o nella migliore delle ipotesi, un sogno da coltivare”, queste le significative parole del presidente dell’associazione, il conosciuto ingegnere teramano Goffredo Rotili, visibilmente commosso nel giorno dei grandi festeggiamenti per l’inaugurazione del tempio ormai recuperato dopo anni di sacrifici.

Il restauro di questo edificio religioso adornato da un bel portale con ghiera decorativa, è certamente una goccia d’acqua nel mare dell’abbandono che soffrono tanti piccoli paesi intorno.

Un antico patrimonio di cultura montanara sta scomparendo e piccoli abitati secolari della zona come Martese e la chiesa diroccata di Santa Lucia, Acquaratola con S. Egidio del XIV secolo, Santa Cecilia, Tavolero con San Flaviano, Faiete con San Pietro del XIII secolo semi crollata, sono ormai ridotti ad autentiche “ghost town “.

Qualche anno fa si era gridato al miracolo quando sembrava reale che alcuni dei borghi abbandonati tornassero a vivere riconvertiti in alberghi diffusi per rilanciare l’esangue turismo di questi luoghi.

L’esempio veniva allora dal magnifico e antico villaggio fortificato di Santo Stefano da Sessanio, nell’entroterra aquilano, oggi uno dei borghi più belli d’Italia divenuto famoso in tutta Europa per la riconversione al turismo dell’albergo diffuso.

Dei proprietari di case ormai ridotte a poco più di ruderi svelarono allora di essere stati contattati per un’eventuale vendita.
La provincia ideò anche un esempio di come si potesse rivitalizzare questi luoghi sperduti.
Tutto è naufragato nel nulla.

Ora questa bella notizia che viene dal paesino di Serra, può essere un esempio coinvolgente per le varie comunità locali.

Se tutti si ponessero l’obiettivo del recupero delle tante oasi di fede e cultura che punteggiano la parte più interna e alta della provincia teramana, se molti si sentissero stimolati a queste imprese, in pochi anni la gioia dell’appartenenza tornerebbe a essere il volano per il ripopolamento della montagna.

L’Ente Parco, con la Provincia, le istituzioni nazionali e locali da qualche tempo si chiama fuori dai giochi a causa delle casse vuote e dell’impossibilità di trovare somme importanti.
Ecco che solo l’orgoglio montanaro può far gridare al miracolo.

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Per raggiungere Serra da Teramo da cui dista circa 30 Km. : percorrere la Strada Provinciale 48 per Rocca Santa Maria; all'altezza di Imposta deviare a destra per San Biagio - Serra, per raggiungere la meta dopo circa 5 Km.

giovedì 12 settembre 2013

IUVANUM e PALLANUM: in viaggio tra leggende e storia

La piana di Santa Maria del Palazzo è un fantastico terrazzo naturale affacciato sugli aspri contrafforti della Majella Orientale nel chietino, equidistante da Torricella Peligna e Montenerodomo da cui si gode un panorama fantastico che spazia dal mare alla montagna.



In particolare quest’ultimo centro merita attenzione per le sue grandi mura fatte di enormi blocchi di pietra levigata, testimonianza mirabile delle origini italiche.

È un luogo ricco di acque, di prati e colture che dovette secoli fa attrarre gli uomini antichi tanto da crearci un insediamento civile e sacro.
Ancora oggi possiamo abbeverarci a un paio di fonti, dove attingevano acqua i Romani.
Una di queste, dedicata a S. Agata, era un tempo famosa tra le puerpere per le abluzioni alle mammelle che non avevano latte per i bimbi.

Oggetto ancora di scavi, i resti del municipio di Iuvanum, l’antica città frentana descritta con dovizia di particolari da Plinio Il Vecchio, si trovano qui, a 1100 metri d’altezza.

Il sito archeologico ha una doppia, grande valenza culturale e paesaggistica.
Le sue pietre hanno attraversato quasi trenta secoli di storia, lasciando molta della esistenza ancora da svelare.

Della città antica si conservano, dal VI secolo a.C., le aree sacre, con resti di due templi gemelli, il foro, il teatro, la basilica, le antiche botteghe artigiane e le strade originarie di accesso, lastricate con le pietre originarie.

In posizione spettacolare, dominata dalla Montagna Madre che pare abbracciarsi con gli attigui monti Pizii, l’area archeologica ha l’ingresso libero fino al tramonto ed è una vera chicca per gli amanti dell’antichità e per chi cerca la storia che si perde nella notte dei tempi.

L’area si visita lungo una minuscola stradina ben evidenziata e lastricata da pietre messe per coltello.

Ciò che resta dell’insediamento romano domina una valle punteggiata da filari di alberi nodosi e secolari che crea l’illusione di un mondo ovattato, dove i forti venti spazzano i prati in lotta con le faggete.


Un luogo appartato ma situato comunque a pochi chilometri dai centri abitati.
Non mancate di visitare l’attiguo Museo della Trasformazione del territorio.

Tornando indietro verso Casoli e il mare di Fossacesia nell’oasi marina dei Trabocchi, ci si può inerpicare verso un’altra area archeologica ancora più misteriosa e affascinante, detta di “Pallanum” per la sua posizione in cresta al monte Pallano, vetta minore di poco più elevata dei 1000 metri.

Grandiose mura megalitiche faranno sobbalzare tutti i sensi tra resti di fortificazioni immani di svariati metri di altezza e affascinanti dolmen che giacciono al cospetto di una superba vista panoramica.

Sono avanzi di mura formate da macigni poligonali enormi sovrapposti e messi insieme senza cemento.

Antiche leggende raccontano che questa fortificazione custodiva un grande tesoro ed era stata costruita dai “Palladini”, uomini enormi che, sui loro superbi omeri, trascinavano senza fatica le grandi pietre.
Si accede a quest’antico e affascinante sito da Bomba, il paese a picco sul lago, attraverso le indicazioni.

Si può terminare la giornata visitando il castello di Roccascalegna, uno dei più bei fortilizi abruzzesi, abbarbicato mirabilmente su di un masso roccioso.
Il maniero è dell’undicesimo secolo e vi affascinerà col suo aspetto arcigno.

Il manufatto vive di storie e leggende coinvolgenti come quella del barone Annibale Corvo De Corvis che nel seicento praticava il famigerato “ius primae noctis”.

Si raccontano anche storie dal sapore dell’incredibile come quella che vede protagonista una misteriosa carrozza priva di conducente che sarebbe trascinata da animali infernali che si paleserebbe ancora nella notte più corta dell’inverno, sfrenandosi in una folle corsa fuori dal borgo fino al cimitero, tra urla disumane e rumori assordanti.

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Il sito di Juvanum si raggiunge dalla costa attraverso la Val di Sangro sulla A14, direzione Casoli, strada Torricella Peligna (47 chilometri circa). Da Roccaraso e Pescocostanzo, il panoramico valico della Forchetta, poi Palena e Iuvanum a 38 chilometri. 
Si può soggiornare a Torricella all'albergo Paradiso cell 333 938 4180


mercoledì 11 settembre 2013

Gessopalena Vecchia, il paese perduto!

Savina, vecchietta indomita, torna nella casa avita ogni estate.
La sua famiglia aveva una bella abitazione nel borgo vecchio di Gessopalena quando lei era poco più che una vispa bimba.

Correva felice tra le viuzze strette che si aprono su balconi di montagne.


Oggi ha l’incedere incerto, è sorretta da un bastone e, ai primi di maggio comincia a urlare ai figli perché l’accompagnino da Roma nel vecchio luogo dove tutto ricorda tempi spensierati.

Spesso ciò che rende speciale un posto è l’atmosfera che vi si respira, qualcosa d’imprevedibile eppure definito che deriva da chi lo vive come una sorta di patrimonio di affetti ed esperienze sedimentati negli anni.

Cielo e montagne sono i protagonisti dello spettacolo offerto dal borgo abbandonato di Gessopalena posto su di un pendio davanti alla Montagna Madre della Majella, nel regno del lupo e del falco pellegrino.

Le case si trovano a pochi passi dal nuovo paese che sorse dopo l’abbandono delle vecchie abitazioni sventrate prima da un immane terremoto nel 1933 e poi dalla furia omicida delle truppe tedesche in ritirata nell’ultima guerra.

Uno scenario naturale dove la pietra si amalgama mirabilmente con la storia sontuosa di ieri e la solitudine delle rovine di oggi.

Gessopalena, infatti, ha conosciuto la signoria dei Caldora nella prima metà del XV secolo e in seguito dei Capua fino al settecento, infine il dominio dei Caracciolo di San Buono.

Tutte dominazioni che avevano prodotto monumenti insigni andati perduti.


Percorro con le mani in tasca le antiche vie di ciottoli tra le case di sasso rimaste in piedi dopo l’abbandono.

Sulle altre, quelle ormai finite in terra, passo scavalcando qualche maceria.
Quasi mi commuovo nel sentire il suono vuoto delle mie scarpe lungo le vie morte.
Ovunque trionfano ortica secca, bisce, lucertole e ramarri tra fantasmi di pietra.
Emana un’aria di mistero, di presenze, pare di sentire voci di bimbo.

La desolazione circola tra le case, salta dentro finestre vuote mentre un vento ululante accompagna una mattina dai colori indefinibili, insinuandosi nelle vecchie mura e nell’anima.

Una porta giace riversa al suolo, alcune imposte sono scardinate e penzolano nel vuoto come assurde bandiere a mezz’asta per il dolore.

Paese sfortunato questo borgo medievale, nei secoli ha sofferto di frane continue che diverse volte hanno seppellito erba, alberi e massi sotto un manto marrone uniforme.

Siamo alle solite.

I comuni montani in Italia soffrono le vertigini non per l’altezza su cui sono situati, non perché aggrappati a pendii scoscesi o strapiombi mozzafiato, ma per le frane che continuamente modellano marne e arenarie dell’Appennino.

Qui dove la terra è sempre in movimento, sotto i piedi c’è il regno del gesso.
Numerose cave hanno determinato anch’esse la fragilità dei terreni.

Oggi un museo, insieme al nome, celebra questa singolarità.

L’antica chiesa di S. Egidio, nella parte alta della “ghost town”, accanto a ciò che resta delle mura del castello, s’immagina solamente insieme all’idea di vecchine che un tempo passavano davanti segnandosi la fronte con la croce.

Arbusti, edere e fitti rampicanti fasciano le pietre in un abbraccio soffocante.

Poi, quasi a lenire la tristezza dolce del luogo, ecco una casina ristrutturata con fiori al davanzale.

Pensare che solo a pochi metri di distanza, la parte nuova del paese riservi piacevoli sorprese con la bella chiesa cinquecentesca della Madonna dei Raccomandati, il Monumento all’Italia con la fontana del 1920 e il ricordo di D’Annunzio.

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Per raggiungere Gessopalena Vecchia e Nuova la principale via di comunicazione è la Val di Sangro, autostrada A14, via Casoli di Chieti verso i paesi dell'interno.
Comune tel. 0872 988112

A Torricella Peligna, circa sei chilometri si soggiorna all'Albergo Paradiso ( 0872 969401) per raggiungere l'area archeologica di Iuvanum, l'antica città frentana descritta da Plinio Il Vecchio, con i suoi templi e la sua acropoli.