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sabato 10 agosto 2013

L'eremo dell'anacoreta Onofrio

Serramonacesca è un borgo in pietra, alle pendici settentrionali della Maiella, sopra il frastagliato corso del fiume Alento, in un lembo di territorio pescarese tra i più ricchi di antiche memorie, leggende, e monumenti di rara bellezza artistica.
È un paese conosciuto soprattutto per la splendida abbazia di San Liberatore

Eppure la storia di questa terra va cercata, scoperta e decifrata, esplorando con pazienza le pieghe della montagna e della memoria.
Tra le rocce e gli arbusti scorre una linfa spirituale che fa di questa valle un luogo sacro da vivere intensamente.

A meno di mezz’ora di cammino a piedi in un boschetto, su di un sentiero a volte scolpito nella roccia e a picco su di uno strapiombo, si trova l’eremo dell’anacoreta Sant’Onofrio vissuto intorno al XII secolo.
Pochi ne conoscono l’esistenza.

Molti si confondono con l’antro più famoso ubicato sulle pareti del Morrone, testimone dell’esistenza spirituale di frate Pietro Angelerio, papa Celestino V che da quel luogo partì, per il soglio pontificio, arrivando a Collemaggio a dorso di un umile asinello tra lo sconcerto dei cardinali e il giubilo del popolo.

In venti minuti di gradevole camminata, partendo dalla contrada Brecciarola, raggiungo il misterioso antro a 700 metri di altitudine, mirabilmente costruito nella pietra, addossato a un costone roccioso.
La presenza della grotta non lontana dalla Badia del Santo Liberatore fece dell’eremo un luogo di preghiera per diversi religiosi dall’XI al XIV secolo, tempo di fiorenti commerci nella zona.

Mi accompagna un amico di Pescara, Luigi che qui ha un suo piccolo rifugio estivo.

Luogo di antiche leggende, anche la figura di Onofrio, eremita coperto solo da una lunghissima barba grigia e capelli stretti al corpo per mezzo di una cintola, è avvolta da un fitto mistero.

Addirittura la tradizione vuole che fosse figlio di un sanguinario re di Persia.

Il giovane, colpito dalla ferocia del padre, abbandonò gli agi di corte, ritirandosi in questa che divenne una chiesetta incastonata nella montagna.

Nel romitorio aleggia ancora il senso del mistico.
La statua originaria del secolo XV, raffigurante l’uomo di Dio, non c’è più.
Dicono sia al sicuro.
C’è solo una povera foto, ha la faccia rivolta al cielo e la corona del rosario in mano.

Lo sguardo duro e inflessibile ricorda un altro manufatto dedicato al santo, che anni fa si trovava nella cripta della cattedrale di Ortona.
Il culto per questo persiano è diffuso in Abruzzo.

La sua figura si staglia, possente, anche in un affresco medievale di Bominaco, nell’oratorio del San Pellegrino.

Il giaciglio oggi sporco e pieno di paglia umida dove il santo riposava, chiamato la culla di Sant’Onofrio, è ancora utilizzato dai pellegrini che vi si adagiano nella convinzione pazzesca che un potere taumaturgo possa guarire dai dolori dell’addome, delle reni e degli arti.

Luigi racconta che gli abitanti di Serramonacesca più di una volta hanno provato a portare la statua raffigurante il patrono nella parrocchiale in centro paese.

Di notte il santo sarebbe sceso giù dalla montagna per riportare all’eremo l’effige lignea che lo raffigura, ricollocandola in quella lurida grotta dove aveva trascorso lunghi anni di ascetismo.
Chissà come sarà adirata la statua dove ora si trova celata.
Perché per me l’originale è stato rubato!

Agli occhi del visitatore, appare forte il contrasto tra la zona originaria dove l’asceta viveva e la parte nuova ricostruita dai fedeli negli anni ’50, così come appare d’altri tempi l’ostinazione nel credere alle innumerevoli leggende di cui questi boschi sono permeati.

Sopra l’eremo, dopo una zona picnic, è d’obbligo la visita alla statua bianca della Madonna, per molti, dispensatrice di guarigioni.
C’è una croce di ferro con sopra una data resa indecifrabile dal tempo.

Devono aver imperversato fulmini su di essa un po’ come accade alla Chiesa di oggi.

C’è anche una fonte definita miracolosa, dove sgorgherebbe acqua curativa.
Mi spiace dovervi deludere, non credeteci.
Mi sono bagnato abbondantemente nelle parti più atrofizzate del mio povero corpo senza averne giovamento alcuno.
Luigi si muove sapientemente tra i cespugli sotto un cielo color genziana.

Incurante delle panchine di legno, s’installa su di una pietra levigata dalla pioggia e allestisce il suo personale banchetto tra frittata d’asparagi selvatici e sorsi di buon trebbiano.
Poi, di colpo, prorompe nel suo immancabile: “Questa è vita”!
Incredibile come riesca a evocare i sapori d’Abruzzo con il buon pane dell’Aquila.

Si raggiunge l'eremo attraverso la A 25 Pescara Sulmona, uscita Scafa, poi S.S. 539.

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