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martedì 4 giugno 2013

Annibale nei monti della Laga: leggenda o realtà?

I Monti della Laga non possono certo competere in quanto a leggende con i vicini Sibillini.
Non abbiamo qui le storie incredibili della Sibilla cumana, del Guerrin Meschino o di Pilato sprofondato nel lago omonimo.

Anche quella che molti definiscono la leggenda del passaggio, tra questi aspri monti, del grande condottiero Annibale, in realtà secondo molti studiosi non si tratta di fola ma di storia.

Quando il generale cartaginese (247-183 a.C.), figlio di Amilcare, che provocò l'aprirsi della II guerra punica con la presa di Sagunto, alleata dei Romani (218), vinse l’epica battaglia a Canne in Puglia, nel 216 a.C., sembra che giorni prima si fosse fermato poco più a Nord, nella Vibrata, curando i suoi cavalli dalla scabbia contratta sul Trasimeno e ristorando i suoi uomini con il vino dei Marsi e dei Sanniti.

Lo racconta il poeta Ovidio che, nel suo capolavoro Le Metamorfosi, descrive i vigneti abruzzesi, esaltandone bellezza e importanza.

E’ storia che a Campo Imperatore, ad un'altitudine media di 1.800 metri, una lunghezza massima di 27 km e una larghezza di 7-8 km, una delle più belle zone sciistiche dell'Italia centrale, Fabio Massimo vi si fortificasse per contrastare la discesa di Annibale dal Piceno a Roma.

E’ ancora la storia che narra delle prime tracce di Sulmona, patria del grande ed ancor oggi amatissimo poeta Publio Ovidio Nasone nato colà nel 43 a.C., tracce che si rilevano nella menzione che ne fa Tito Livio a proposito della distruzione che operò Annibale nel 211 a.C.

E sono molti gli studiosi che sostengono la tesi di un cartaginese che, dopo aver saccheggiato tutto il Piceno, si accampò con le sue truppe nel ricco e fertile Ager Hatrianus, l’odierna Atri, per ritemprare le sue truppe sfinite dalle tante battaglie.

Come in un caleidoscopio che passa da scenari ancora selvaggi a colline addolcite dalla mano umana, da lunghe spiagge bianche ad alte montagne su cui vola l'aquila reale, tra le cime del monte Gorzano (2458 metri) e del vicino pizzo di Sevo (2422 metri), nascono curiosità!
Ad esempio, tra le due montagne si snoda il cosiddetto “valico di annibale”, chiamato in tal modo in ricordo del passaggio del condottiero cartaginese.

Annibale dovette probabilmente anche impegnarsi in cruente battaglie in questo incantevole lembo di terra.
Lo si deduce dai nomi che, coloro i quali frequentano i boschi della Laga conoscono bene: Macera della Morte, Monte dei Morti, Tracciolino di Annibale, Monte Romicito, Valle dell’Inferno.

Quando ebbi la fortuna di inerpicarmi sulla vetta del Pizzo di Sevo, incontrai un sessantenne molto ardimentoso che si divertiva a scalare tutte le vette possibili.

Parlando con lui che conosceva incredibilmente il territorio, mi indicò dall’alto la via che, secondo i suoi intendimenti, Annibale aveva praticato per arrivare fin qui.
Dalle Marche attraverso la Salaria, il percorso partiva dalla cima del Monte Comunitore, per il valico del Passo Chino inerpicandosi lungo l’ampio costone che tocca la vetta della Macera e il Pizzutello al di sotto di Cima Lepri, in un tourbillon di incredibili ascese e discese.

Ciò che colpì particolarmente la mia fantasia fu il “come” il condottiero avesse fatto arrampicare fin lì gli elefanti, tant’è che il mio amico disse subito che molti animali così come i soldati perdettero la vita tra tempeste di neve e indicibili sacrifici.

Il maturo escursionista mi indicò poi il guado attraverso cui il condottiero sarebbe passato per distendere le sue falangi armate nelle beate colline del Vibrata, un angusto passaggio a sud del Pizzo di Sevo sopra cui eravamo.
Secondo il mio esperto interlocutore la vera “Salaria” era proprio questa. Antichissima arteria, poi caduta in disuso perché troppo selvaggia.

A seguito della sconfitta del popolo Piceno e la conquista di tale territorio il tratto venne prolungato nella valle del Tronto.

In un libro di Alfiero Romualdi dedicato a storie di vita vissuta sulla Laga, l’autore originario di Fioli, piccolo borgo del comune di Rocca Santa Maria, ricorda a tal proposito gli scritti dello storico Palma che sostengono proprio questa tesi di una Salaria scavalcante la dorsale della Laga per giungere sulla costa adriatica attraverso le gole del Salinello e la Val Vibrata.

In questo territorio così aspro, tra monasteri incastonati nelle montagne, paesini arrampicati su speroni di roccia, castelli che punteggiano colli e alture, in un viaggio che diventa spesso un'esperienza dello spirito, un'emozione pura, fioriscono storie fantastiche.

In mezzo a grandi faggete interrotte da prati e torrenti dovette sostenersi una epica battaglia dove si fronteggiarono uno stratega abilissimo come Annibale e il console romano allora in carico, il già citato Quinto Fabio Massimo, che tutti gli studenti conoscono come il “temporeggiatore”.

La battaglia secondo la leggenda (o realtà?) fu il prologo di quella ben più sanguinaria di Canne dove il capo dei Cartaginesi, con forze inferiori di numero (ca. 35.000 uomini), riportò sui Romani, presentatisi alla battaglia con un esercito forte di ca. 50.000 uomini, una strepitosa vittoria.

Chi sa di storia ricorda che Annibale mise in atto un'abile tattica destinata a diventare classica nei secoli: cedimento iniziale del centro del suo schieramento per lasciarvi incuneare il grosso dell'esercito nemico, il quale, stretto in breve come in una morsa, veniva quindi attaccato ai fianchi e alle spalle con le ali e con rapidissime cariche di cavalleria.

La sconfitta dei Romani si trasformò in un'immane disfatta con ca. 30.000 morti, tra i quali il console Emilio Paolo, e ca. 10.000 prigionieri, mentre quanto rimaneva dell'esercito con il console Terenzio Varrone, cui era toccato il comando in battaglia, trovò scampo nella vicina colonia di Canosa; Annibale perdette in questo scontro immane, ca. 6000 uomini.

Tornando alla Nostra Laga, molte altre furono le leggende che fiorirono in zona.
L’antico tratturo che dalla Macera della Morte si incunea oggi fra tre province, la teramana, la reatina, la marchigiana, si sussurra che sia maledetto, poiché vi si sono verificati delle enigmatiche manifestazioni che la tradizione popolare ha trasformato in leggende.

Si narra ad esempio che lungo il canalone che porta a valle in direzione Est Ovest, furono così tante le vittime di quella immane battaglia che i loro corpi vennero accatastati come pietre destinate a formare una “macera”, un mucchio informe di pietre che diedero nome alla vetta.

Ce lo dice sempre Romualdi nel suo bel libro: “ Il XX secolo ai piedi della Laga”.
Ebbene c’è chi giura ancora oggi che alcuni escursionisti abbiano visto i fantasmi dei soldati aggirarsi minacciosi, tra i prati circostanti.
Ancora, verso la fine del 1800 una donna ebbe un insolito incontro e la fantasia popolare ha di nuovo rielaborato tale storia in maniera folcloristica, facendola diventare una leggenda.

Si narra che un giorno di fine estate era andata a pascolare i cinghiali, quando all’improvviso vide, nei pressi di una quercia delle donne che danzavano, mentre in lontananza si sentivano i frastuoni di un combattimento.
Esse erano vestite in modo inusuale e sembravano in preda ad un maleficio.
Di colpo comparvero soldati di epoca romana che trapassarono con le loro daghe i corpi delle ragazze, uccidendole.
La malcapitata alla vista di tutto ciò, spaventata, cerco di scappare ma questi la rincorsero.

La donna cadde e fu ritrovata diversi giorni dopo in uno stato confusionale con una profonda ferita di arma da taglio sulla gamba. I parenti pensarono che fosse sotto effetto di qualche arcano maleficio, così la fecero benedire.
Realtà o fantasia ?

E’ un fatto che, poco distante Sant’Omero in Vibrata, sia stato rinvenuto un cippo militare che qualcuno individuò in uno di quelli che delimitavano la famosa via Metella dal Console romano che la ideò!

Ed è ancora un fatto che i resti di una pietra romana si trovano al di sotto della vetta di Cima Lepri, nel cuore del complesso Laga.

Ebbene molti storici asserirono nel corso degli anni che proprio su questa via che proseguiva per il crinale del Ceppo, toccando Castel Manfrino, antico “Castrum Romano, attraverso le selvagge ed insidiose gole del Salinello, come già detto, dovette avventurarsi il nostro eroe cartaginese.
Il quale di buon grado si decise ad attraversare le pericolose falesie al di sotto di Macchia, pur di accelerare il suo arrivo verso l’Adriatico.

Questa zona di confine tra il Piceno e il Pretuzio era anche libera da truppe nemiche visto che anche qui fiorivano leggende di mostri mitologici e diavoli che si inerpicavano sui contrafforti del Foltrone e del Girella alla ricerca di malcapitati viaggiatori, tradizioni tramandate ancora oggi, delle quali si disinteressarono sia lo stesso Annibale e, più tardi, il grande Manfredi.

Se volete comunque ripercorrere a piedi il tracciato di Annibale, esiste un “trekking della Metella”, ideato anni fa dal C.A.I. di Ascoli Piceno.
In quattro giorni si può camminare sulle orme di Annibale toccando luoghi di notevole bellezza naturale come le citate gole, il Bosco Martese, incontrando cenobi benedettini, eremitaggi, natura selvaggia, cascate, fino a scavalcare la dorsale appenninica e arrivare in prossimità di Sommati in zona Sacro Cuore nel Reatino per finire la fatica davanti ad un piatto fumante di bucatini alla Amatriciana.

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