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giovedì 9 maggio 2013

La Montecassino del mare! Alla scoperta di San Giovanni in Venere

“Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario”. (Dal Salmo 27)



Sono diretto verso l’Adriatico dei trabocchi, nel cuore del golfo di Fossacesia, alla ricerca di una grande abbazia, seguendo le orme del patrono di Teramo, il vescovo Berardo.
Qui il sant’uomo affinò il suo dialogo stretto con il Creatore.

A ogni curva della statale che porta verso le spiagge, la strada sembra terminare con un salto nel blu cobalto del mare.
 La vita, dice Don Antonio Mazzi prete di strada, è l’eternità che cammina.
Non voltiamoci indietro, non avremmo milioni a sufficienza per comprarci il minuto già passato.

“Un paradiso terrestre, certo. Io amo chiamarla la Montecassino del mare”.
E’ un fiume in piena il signor Carmine.
Voce piacevole quanto il suono di un’unghia che scorre su di una lavagna ma cordiale e ricco di aneddoti.

Abita qui da ottanta e più anni, tra lecci e ulivi.
Alto, magro ha un grosso gozzo e un’età indefinita.
Porta in testa un buffo cappellino scamosciato bianco color torrone.
Mi chiedo cosa c’entri un copricapo di foggia tipicamente tirolese in mezzo all’Abruzzo del sud.

D’inverno, è solito col tempo buono, passare le ore meno fredde del giorno su questo balcone dove si affacciava anche il grande poeta D’Annunzio.
 Accanto a lui la moglie sembra meditare a occhi aperti.

La vecchietta ha delle nodose vene blu e la pelle traslucida come fosse impregnata di fard.
Forcine tra i capelli, la donna ha occhi arrossati, labbra violacee per la difficoltà di respirazione.
Non dà l’idea della salute.
Temo possa decedere da un momento all’altro.
Mi guardo intorno, rapito.

L’abbazia di San Giovanni in Venere è una meraviglia di pietra, autentico capolavoro di architettura sacra medioevale, posto su di un balcone del panoramico promontorio dedicato alla dea della bellezza, a picco su Fossacesia.

Siamo su di un colle dolce che pare un Getsemani circondato da ulivi e racchiuso tra le possenti mura della struttura religiosa.

Chiudendo gli occhi si può immaginare una piccola Gerusalemme e sentirsi pervasi dalla pace.

A pochi chilometri c’è la bella Lanciano con le sue eleganti torri Montanare, la chiesa di San Francesco del 1258 che ospita la reliquia del Miracolo Eucaristico e l’elegante esempio di architettura neo classica di Santa Maria del Ponte.

“Ma non credere che sia sempre così con quest’azzurro splendente fino all’orizzonte – ammonisce il loquace vegliardo- quando infuria il vento, quello che fa cadere i denti senza la tenaglia, il mare muggisce da metter paura!”

Guardo in lontananza la grande distesa d’acqua dell’Adriatico con i suoi trabocchi, macchine ingegnose di pesca e le colline digradanti fino l’arenile.

La pioggia degli scorsi giorni ha spazzato via la polvere immobile, lasciando libero il respiro infinito della natura.


Mi sento stregato dalla bellezza che ho negli occhi.
Il mare m’incanta quanto la montagna.
Il pianeta liquido è un mondo fantastico al pari di quello terrestre.
La sua energia positiva dovremmo farla entrare dentro di noi, nelle miriadi di cunicoli che attraversano il nostro povero corpo.

Osservo e immagino gli antichi marinai manovrare i remi, gli agguerriti saraceni cercare di sbarcare a riva per depredare e uccidere.

Poco distante c’è il trabocco turchino, la macchina da pesca immortalata nella tragedia dannunziana, che sembrava, per il Vate, una terribile catapulta romana in procinto di lanciarsi contro le acque profonde.

Tutto intorno alla collina dell’abbazia, boschi di lecci, agrumeti, olivi, vigne e macchie di ginestre che puntellano di giallo il verde ocre a formare, col blu del mare e il grigio lontano della Majella, una tavolozza del Tintoretto.

Siamo in un anfiteatro di straniante bellezza solcato nel cielo dai gabbiani che, incessanti sentinelle di questo bello assoluto, accompagnano lo sguardo dal mare verso i monti.

I monaci cistercensi che vi giunsero intorno al mille erano buon ultimi dato che, numerosi rinvenimenti preistorici nel corso degli anni, hanno testimoniato l’esistenza d’insediamenti umani a partire dal VII millennio ante Cristo.

Durante alcuni lavori di scavo nell’abbazia, vennero alla luce frammenti di materiali provenienti da periodi storici diversi che vanno dall’età del ferro all’ellenistica.

Suppellettili, scheletri e anfore recanti scritte in greco e in latino che fanno presumere il ruolo della costa dei Trabocchi e delle vicine Tremiti, punto di contatto e di scambio con mondi diversi.

I religiosi dovettero faticare non poco per vincere la fede per la dea Venere.

Costruirono convento e chiesa acquisendo proseliti cristiani grazie anche ai tanti ulivi, vigneti e alberi da frutta che furono impiantati per dare benessere a chi viveva solo dei prodotti del mare.

Ancora oggi gli scheletri dei patriarchi di quegli ulivi millenari sono in piedi, nonostante i fulmini e le intemperie subite, fieri di non temere il lento trascorrere del tempo.

Si racconta che l’abate di questo luogo sacro, tal Oderisio I, nel 1076 costruì il bel paese di Rocca San Giovanni che si raggiunge a pochi chilometri dalla costa, tra fossi e calanchi spettacolari. Parliamo di uno dei borghi più belli d’Italia, inserito nella speciale classifica italiana, unico nella provincia chietina dal 2006. Il priore lo fortificò con mura possenti e torri di avvistamento.
Ancora oggi, il camminamento sulle antiche balaustre emoziona e non poco.
Fra l’altro a Rocca si beve ottimo vino e si pasteggia con olio sopraffino, passeggiando tra palazzi aristocratici e giardini.

La facciata dell’antica basilica è austera e semplice.
Attraverso il portale decorato da bassorilievi in pietra bianca, entro e il buio, trafitto da polverosi raggi di sole, sembra urlare.

L’abbazia oggi si presenta a tre navate separate da due file di cinque pilastri, di stile cistercense dalle maestose volte con travi di legno.
Le grandi pareti sono spoglie.
I dipinti si concentrano tutti nella cripta di sotto dell’immenso presbiterio a pianta rettangolare e con ben tre absidi.
La luce è fioca, i personaggi degli affreschi sembrano volersi strappare dal muro per bere gocce di chiarore.

Tutto invita a dimenticare il mondo esterno: la leggerezza delle colonne pur maestose, l’insieme e soprattutto, il silenzio leggero e non incombente che permette ai cuori di ricongiungersi con la parte più intima e segreta del proprio animo.

Penso allo splendido Cantico di Sion, frutto del genio poetico e profetico di Isaia (2, 2-5): “Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore”.

Due donne sono immerse nel rito devozionale del rosario.

Pietro Calabrese, giornalista recentemente scomparso, ateo ma non troppo, ammoniva a non sottovalutare la forza e la dolcezza delle preghiere di quei fortunati che possiedono il dono della fede.
Vero che, anche per i non praticanti secondo lo scrittore, le preghiere conservano un senso di mistero e infinito che solo uno stupido accecato dai pregiudizi sottovaluterebbe.

Colpiscono l’immaginario i troni in pietra usati dai monaci e la stele che ricorda la breve permanenza, in questo luogo sacro del vescovo Berardo che qui si raccolse in preghiera prima di ascendere alla
cattedra episcopale di Teramo.

Getto uno sguardo al lussureggiante giardino mediterraneo del convento. Cipressi, palme, rododendri, quasi si abbarbicano sul portico a tre lati.

Il piccolo parco è testimone della serenità e della pace di un antico stile di vita legato ai valori spirituali.
La temperatura ora è decisamente dolce. Mi fa sudare ma si accorda bene con il mio umore.

Respirare i salmastri che giungono dal golfo, è un tranquillante dello spirito.
Non trovo le parole per rendere la bellezza del luogo.

Il promontorio di San Giovanni in Venere si raggiunge dal casello di Val di Sangro della A14 statale Adriatica fino a Fossacesia Marina e deviando all'interno. Da Fossacesia si può risalire l'Adriatica a nord per la via dei Trabocchi fino a Ortona!

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