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mercoledì 20 marzo 2013

I segreti di Piano Maggiore

Chi ama le storie raccontate dalle pietre e dal vento, apprezza questo luogo di assoluta bellezza.

Gli uomini duri e forti che popolavano l’Abruzzo minore, erano eroi aggrappati alla montagna, che conquistavano ogni giorno la loro esistenza senza garanzie e sicurezze.

Il paese abbandonato di Piano Maggiore è una chicca del paesaggio teramano.

Il monte Foltrone detto di Campli e il Girella di Civitella del Tronto qui regalano immagini dai tanti colori: le cromie dei fiori abbarbicati alle rocce, il verde dei pascoli, il grigio dei tetti consumati dal tempo, il cielo azzurro.

La magia esiste su queste montagne ritenute a torto, minori. La percepisci dall’alto di un picco roccioso, con tutti i sensi, tra crinali di pietra e macchie bianche di pecore al pascolo.
E’ la quotidianità che incontra lo straordinario.

Le montagne gemelle invadono ogni cellula del corpo e della mente, come una malattia inesorabile che non dà certezza di cura.

Lo scheletro di questa ghost town, uno dei tanti borghi abbandonati del comprensorio, fa tenerezza.

L’insieme di case è simile a un alveare corroso dal tempo, dal vento e dalla pioggia.
Il vento, da queste parti, soffia con brutalità selvaggia.

A un pugno di tornanti da Macchia da Sole, oltre mille metri di altitudine, il borgo di Piano Maggiore ha vissuto storie terribili, anche leggende, come quando, nel 1570, un gruppo di nove donne ritenute responsabili di crudeli sortilegi, fu processato.
Si videro costrette a confessare reati mai commessi e condannate al rogo.
Oggi, minuscole siepi di biancospino avvolgono le povere case.
Dall’altra parte della valle, fanno mostra di sé le geometrie dei pochi campi coltivati.

La vecchia chiesina di San Pietro custodisce un ossario, dove la leggenda vuole fossero sepolti i resti di temibili briganti quali, Antonio di Forca e Berardino di Celidonia con parte dei loro amici manigoldi.

Il brigantaggio da queste parti non è mancato dal Medioevo in poi, con personaggi come Marco Sciarra, Ursino di Sabatuccio, Alfonso Piccolomini.

Su quella che un tempo era carrareccia attraversata da mercanti della lana e del sale, pastori e nomadi, è facile imbattersi di domenica, in una torma indiavolata di ciclisti in tecnologiche mountain bike, con mutande elasticizzate, maglie sponsorizzate e caschi, tutti presi a scalare il rampichino delle marce in salita.

Non lontano, un minuscolo specchio d’acqua, il laghetto di Sbraccia, regala momenti di tranquillità tra fusti flaccidi di piccoli arbusti fiorati, immersi per metà nell’acqua.

Il Colle San Sisto, secoli fa custodiva un grande monastero con oltre cinquanta frati.

Oggi non è altro che un ciuffo di verde.
 Un tempo i corpi delle vecchiette erano chini a raccogliere cicorie e spinaci selvatici, armate di coltelli.

Oggi non cresce altro che zizzania.
Pochi passi per Leofara e il castello di Valleinquina, un tempo ricettacolo di briganti e lupi tanto che la tradizione ricorda nel 1700 un papa che, per liberarsi di scomodi personaggi, arse una consistente parte della foresta intorno.

1 commento:

  1. Quella dei ciclisti mi e' piaciuta: si devono sempre far riconoscere. Ma non si può andare in bici anche senza l'abbigliamento sponsorizzato?

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