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domenica 31 marzo 2013

Giù per le antiche strade

Dal mare alla montagna attraverso una delle valli più interessanti del teramano solcata dal fiume Vomano. Arte sacra, storia, cultura millenaria e gastronomia!

Immaginate un tuffo nel passato, tra verdi rilievi, abbazie secolari e cemento intorno a violentare la storia.
Benvenuti lungo la vallata del fiume Vomano e le sue colline, alla scoperta di un itinerario sacro nell’arte del romanico abruzzese.

Un percorso di alto livello storico, religioso e culturale nell’entroterra teramano lungo le vie, dai valichi montani al mare, percorse da pastori, artigiani, soldati e monaci.

Luoghi dove si respira l’aria della fatica che generazioni di contadini hanno fatto per crescere i loro figli.

Posti dove si scoprono le atmosfere mistiche di religiosi che, nelle colline, hanno trovato un insediamento perfetto per l’”ora et labora” caro a San Benedetto.

Montepagano, guarda la costa dai suoi trecento e più metri di altezza.
L’antica “Mons Pagus” romana, poi feudo dei Duchi di Atri, accoglie i visitatori con un museo di arti e tradizioni e la torre campanaria sopravvissuta alla distruzione della vecchia chiesa di Sant’Antimo, crollata miseramente.

L’orologio del manufatto, di notte, lo puoi scambiare per luna piena appena sorgente.
Il borgo dura si e no cento passi, ma quanta bellezza!
Appena scoperta la chiesa dell’Annunciazione con le sue statue lignee del quattrocento e l’altare dorato e intagliato, già arriva il belvedere da dove si scorge l’Adriatico fino al pescarese.
A sorprendere è la valle, il vento che l’odore della legna nelle case fa più pungente, il verde che la primavera rende vivido e creativo e la multiforme ricchezza del paesaggio rurale sempre più minacciato dall’espansione urbana.

Qualche chilometro ed eccoci a Morrodoro, l’antica “Morrum”, ricco feudo agricolo dei potenti Acquaviva.

Qui c’è un museo dedicato alla civiltà contadina nell’antico palazzo De Gregoriis che custodisce antichi reperti di vita agreste.

Come in una commedia di Edoardo De Filippo, gli uomini e le donne del paese accolgono con la loro genuina socialità.

Il piacere degli occhi e quello della gola vanno a braccetto in questa che è una delle strade più importanti del vino in provincia di Teramo.

La parrocchiale di San Salvatore, opera del 1331 di Mastro Gentile da Ripatransone, è bella ma impallidisce al cospetto del grande manufatto a qualche chilometro verso la valle: la romanica Santa Maria di Propezzano, l’insediamento più antico e artistico, la cui fondazione risale al 715 d.C. a dar ragione alla scritta, in carattere gotico, sotto il portico.

È il primo dei cinque grandi monumenti sacri di questa incredibile “valle dei templi”.

Un mistero la leggenda dell’edificazione del tempio ad opera di pellegrini tedeschi che, di ritorno da una visita alla tomba di San Pietro, nel riposarsi, assistettero all’apparizione della Vergine desiderosa di avere una chiesa tutta per lei.

L’abbazia fu completata nel 1285 con la sua struttura architettonica essenziale, l’artistico rosone formato da tetti concentrici con fregi in terracotta e, sopra, lo stemma dei soliti Acquaviva.
A destra del porticato, è interessante la Porta Santa che si apre due volte l’anno, il 10 maggio e nella festa dell’Ascensione.

All’interno, sono belli gli affreschi del quattrocento che raffigurano i Papi Bonifacio IX, Alessandro II e Martino V mostranti bolle con i privilegi concessi alla piccola basilica.

A fianco, imperdibile anche se chiuso quasi sempre, il chiostro a pianta quadrata con gli affreschi del pittore polacco Sebastiano Majeski.


Poco lontano è consigliabile una visita al “Giardino delle erbe officinali” dove si coltivano oltre trecento tipi di essenze per medicina, uso alimentare e cosmesi.

Abbandonando di nuovo la valle e salendo verso la collina orientale, si scopre la bella Notaresco con i suoi antichi palazzi.
Un tempo era un emporio famoso con i suoi bachi da seta e il commercio di olio, vino, formaggi e filati.
L’antica “Nutarisco” era la fortezza medievale del re Lotario, punto di riferimento in seguito per le lotte d’indipendenza del Risorgimento fino all’Unità d’Italia.

Non lontano c’è Guardia Vomano e l’abbazia romanica di San Clemente, fatta costruire da Ermengarda nel IX secolo, con il fantastico ciborio dalle decorazioni floreali e animali di Roberto di Ruggero di cui parliamo in altra parte del magazine.

Le colline si ammantano di piccoli centri discreti, arroccati sui poggi con i loro acciottolati, gli archi a blocchetti di pietra, gli stemmi signorili.

Castellalto con la sua entrata antica, è quasi una finestra spalancata sull’infinito.
La vista spazia dalla valle del Tordino a quella del Vomano.
Pochi chilometri sotto, la frazione Castelbasso stupisce con il suo puzzle di vicoli stretti, labirintici spezzoni di tracciati medievali.

C’è da soffermarsi a scoprire la chiesa di San Pietro del 1338.

Il suo portale regala elementi decorativi singolari con scritte in vernacolo e due leoni rozzamente scolpiti.

Tornando nel fondo valle, in lontananza fa bella mostra di sé la torre, a base triangolare, del piccolo paese di Montegualtieri, frazione di Cermignano, esemplare rarissimo nella storia dell’architettura medievale.

È alta circa quaranta metri, alla sommità ci sono belle merlature e anticamente serviva per avvistare incursioni nemiche.

Il nostro viaggio potrebbe continuare nella valle Siciliana, scoprendo il romanico di Santa Maria di Ronzano, San Giovanni ad Insulam e, non distante dal paretone del Gran Sasso, San Valentino di Isola.

Ma questi gioielli d’arte, converrete, meritano ben altro tempo e spazio!



Gli articoli inseriti nella rivista sono redatti da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

Tutti gli articoli sono condivisi su Facebook nella bacheca di Sergio Scacchia e nella pagina "Il Mio Ararat" e su Google Plus.

Gli articoli sono inoltre pubblicati da Vincenzo Cicconi della PacotVideo , tra l'altro gestore di questo blog, su:
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sabato 30 marzo 2013

Canzano : Il piccolo paese dai grandi tesori ... culinari


Ricordo, anni fa, un bellissimo incontro con una donna dal volto solare e ipnotico.
Editta Serpente ancora oggi e da molti anni rappresenta a Canzano la storia del merletto di cui il paese si fregia di esserne capitale.

Quel giorno mentre avevamo terminato le riprese video per una trasmissione di Rete 8, la donna fondatrice di una fiorente scuola di esperte ricamatrici, mi disse piena di passione:
Il ricamo non è solo patrimonio culturale del nostro paese, è amore e riscoperta di un’occupazione antica che ha sempre caratterizzato la donna, sin dai tempi della Bibbia”.
Roba da non credere.

Canzano, a dispetto delle sue dimensioni, offre di tutto: associazioni di anziani che organizzano scuole di cucina e quadriglie, donatori di sangue, una banda musicale dalle tradizioni antiche.

Ma è, da sempre, la gastronomia a farla da padrone con il suo “tacchino alla canzanese”, vero culto della tavola abruzzese.

La deliziosa pietanza in gelatina servita fredda, rappresenta la nostra cucina nel mondo.
Pensate che è stato un piatto del teramano sbarcato niente dimeno che sulla luna!

Infatti, si racconta, quasi come leggenda, che Neil Armstrong, il primo uomo a porre piede sul satellite della terra, lo individuò come cibo ideale per le imprese degli astronauti, perché nutritivo, saporito e con lunga conservazione.
In paese si eccelle anche nei dolci.

Proverbiali sono le ciambelle di San Biagio, il santo patrono del paese, protettore dai mali della gola. Sono incredibilmente buone.
E poi c’è lo “storione” che non è un pesce dei mari del nord ma un gustoso dessert di mandorla, cioccolato e crema, che non giova al colesterolo, ma che mette allegria a fine pasto.



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martedì 26 marzo 2013

Il paese di pietra!


Tra le impalcature che imbracano le case strette devastate sin dalle fondamenta dal terribile sisma del 2009, l’anziana donna si muove a fatica.

Ha quasi cento anni la Nina, mese in più, mese in meno, ma anche se da queste parti venisse un cataclisma del tipo paventato dai Maya, lei sarebbe sull’uscio della sua casa ad attenderlo.

Perché è una “pretarola” di quelle che se ne infischiano delle rilevazioni demografiche che indicano un paese che muore.
Lei vive qui e nessuno riuscirà a portarla via, né una frana, né la terra che si muove, né la neve che ogni anno copre i piccoli portali d’ingresso alle abitazioni.
E dire che in questi ultimi tempi tutto si è accanito contro questo splendido abitato.

La montagna è crollata ricoprendo le pitture rupestri, il mondo antico del pretarolo doc Guido Montauti; le viscere delle guglie dei Corni hanno traballato sotto la violenza di una faglia mortale; la pioggia ha fatto venire giù pietre, fango e altro, coprendo una parte dell’incantevole sentiero che porta ai Prati di Tivo.

Ora tutti recitano il “de profundis” e dicono che Pietracamela, arroccata su di una pendice montana, sta morendo.

Secondo i censimenti negli anni ’30 qui si era in circa duemila anime, negli anni ’90 si scese a duecento.

Oggi se veniamo fin quassù fuori stagione e in un giorno feriale, faremmo fatica a scambiar chiacchiere con qualcuno.
Ma la Nina mi spalanca due occhi grandi e, sorridendo, a metà tra un italiano stentato e il difficile dialetto, sussurra che tra qualche giorno è Pasqua e tornano anche i suoi figli.

Più in là la signora Montauti, anima del paese, affaccia la testa fuori dalla piccola chiesa che sta pulendo per la messa del vespro.
Il paese, compreso nella ristretta cerchia dei borghi più belli d’Italia, conta nelle stagioni intermedie più o meno cinquanta abitanti, gli stessi della frazione Intermesoli, ma è un dato che pecca di ottimismo.
Alcuni abitanti stanno a Montorio al Vomano e vengono su nei weekend.

Ma a Natale e Pasqua, come Gesù che nasce e risorge, torna a vivere anche questo piccolo borgo che si riempie di turisti e familiari in festa.

Luogo storico dell’Abruzzo Ultra durante il Regno di Napoli apparteneva nel secolo XII al feudo della Valle Siciliana di proprietà dei Conti di Pagliara.

In seguito passò ai Conti Orsini che furono padroni sotto Angioini e Aragonesi fino a che Carlo V nel 1526 lo consegnò al marchese Mendoza fino all’abolizione della feudalità.

Qui un tempo si lavoravano i metalli, si batteva il rame, si pettinava la lana.
I cardatori del paese erano famosi fino in Toscana e nell’Emilia.
Con la nascita del materasso a molle, l’attività scomparve.
Stessa storia per i famosi “sediai”.
Usavano materie prime locali, legno di faggio e paglia.
La robustezza della sedia che si realizzava, dipendeva dall’abile lavoro d’incastro del legno.
Che dire poi dei “casari”?
Erano anch’essi artigiani di grande specializzazione. Decidevano, con sapienza, quando il latte della munta doveva essere bollito e posto nelle “fuscielle”.
La crisi cominciò a mordere sin dalle ultime battute dell’ottocento.

La pastorizia transumante fu decimata dal progresso verso le zone di mare, da tasse e balzelli vergognosi e la progressiva messa in coltura delle distese pugliesi del Tavoliere.

Un esodo biblico portò i pretaroli verso gli States, l’Argentina, l’Australia.

I più fortunati emigrarono nel Lazio.

L’antica Petra Cimmeria o Cameria, (il toponimo lo ritroviamo nel monte Camarda e a San Pio delle Camere in Aquila), col masso sovrastante a forma di cammello, nel fine anno si appresta a vivere il suo attimo di gloria dopo l’estate ferragostana.

D’inverno, niente caroselli di piste stile Trentino, niente folle agli impianti, volti noti e riti mondani del dopo sci.
Solo turismo familiare e montagna spartana, bella e selvaggia.
Nella stagione fredda il piccolo portale di San Giovanni, il campanile a vela, la meridiana e l’orologio, quasi scompaiono inghiottiti dalla neve.
La chiesa di San Rocco, la casa de “li Signuritte” con le bifore del 400, lo stemma civico cinquecentesco, la piazza Cola da Rienzo cui sembra che il paese abbia dato i natali, il “Sopratore” tra rocce e fienili ristrutturati, la parrocchiale di San Leucio, l’antico vescovo di Alessandria, tutto sembra irreale nel bianco che fiocca.

In estate il piccolo mondo di case vecchie dal sapore decadente, quasi bohémien, attrae torme di escursionisti.
“Lo spirito del paese è che non importa chi sei e da dove arrivi, qui, nessuno è straniero”, dicono gli ospitali abitanti.

Alcuni di essi, “cardaroli” della lana, indossando i “coturni”, spesse calzature fatte di lana frollata, attraversavano da giovani la Val Maone, lungo l’infido passo della Portella, per vendere mercanzia all’Aquila, soprattutto a Natale quando giravano più soldi.

Il paese avrebbe bisogno di maggiore turismo.
Per molti sarebbe utile una pedemontana a collegare le guglie del Gran Sasso all’autostrada per Roma o un trenino a cremagliera che sale appena fuori la galleria tra Aquila e Roma, scavalcando Forca di Valle.
Altri sognano un tunnel a incrociare l’autostrada sopra il santuario dei Passionisti di San Gabriele.
“E’ il terzo borgo più bello d’Italia nonostante lo spopolamento” - chiosano con orgoglio gli anziani rimasti.
Poco più in alto, sopra la nota località turistica dei Prati, muraglie inaccessibili di dolomia raccontano, come libro aperto, oltre trecento milioni di anni.

La mia casa è quassù fra le altere pareti e misteriosi silenzi... la mia casa è quassù fra garrule acque e dolcissimi ricordi. Qui sono io, qui è la mia casa, qui sono le mie montagne. (Antonella Fornari)

Il chiostro della Madonna delle Grazie a Teramo.

Don Domenico Taraschi, conosciuto prelato teramano scrisse che...
"Teramo sembra attraversata dalla Croce tracciata da Maria. Infatti dalla chiesa del Cuore Immacolato di Maria al Santuario delle Grazie e Madonna delle Cona e giù fino a Cartecchio, la città sembra abbracciata proprio ad una croce, con al centro l'Assunta del Duomo...".

Indubbiamente Teramo è città mariana per eccellenza!
 Il santuario della Madonna delle Grazie è un luogo sacro gravido di arte, ricco com'è di opere appartenenti ad epoche diverse.

Forse il luogo più rilevante dal punto di vista artistico è il chiostro, al cui interno si possono godere scorci di rara bellezza che si aprono sul tiburio e il campanile.

Nel chiostro è' possibile leggere tutti gli interventi architettonici nel corso dei secoli.

Sono di un'armonia unica le archeggiature ogivali 
La parte alta risale all'ampliamento voluto da Frà Giacomo della Marca nel 1448.


La parte bassa è la più antica risalente al 1153 insieme a quella mediana soprastante dove c'erano le cellette dei frati e, prima ancora, delle suore che popolavano quello che era il convento di S.Angelo delle Donne.

Anticamente infatti, si era nel XII secolo, appena fuori le mura di Teramo, c'era il Monastero delle Monache Benedettine con annessa la Chiesa di S.Angelo delle Donne.
 
Nell'anno 1449 si stabilirono i Frati Osservanti dell'Ordine di S.Francesco e tutto il convento nell'arco di pochi anni fu ampliato e trasformato.

Venne così edificato il campanile, nella sua prima costruzione, variata poi nel seicento.
Nel tardo ottocento la chiesa fu radicalmente ricostruita sul progetto architettonico dell'artista
Cesare Mariani.

Fu in quegli anni che il chiostro fu leggermente trasformato nella sua parte conventuale e venne recuperato il vecchio portico d'ingresso dell'antico monastero. 

lunedì 25 marzo 2013

Il pianoro di Valle Vaccaro

Il pianoro di Valle Vaccaro è un luogo magico.

Io, come narro nel libro “Il mio Ararat”, preferisco arrivarci a piedi attraverso una larga pista che da Crognaleto, scende alla strada nei pressi di Corvaro, con un ripido crinale, decisamente ostico e scivoloso nel tratto finale.

L’ultima volta che l’ho percorso, almeno tre volte ho strusciato il sedere e l’ultima caduta mi ha fatto ritrovare abbracciato a un pungitopo che, vi assicuro, non punge solo gli animali.

Dalla strada, si risale il ripido Colle Falcone attraverso una mulattiera in gran parte conquistata dalle erbacce.
Per i pigri la buona notizia è che ci si arriva anche in auto. Basta giungere ad Aprati sulla S.S.80 e prendere per Crognaleto.

Il pianoro, credetemi è un luogo tra i più adatti al picnic, bello come non mai.

Di solito, quando si arriva in questo paradiso terrestre, diventa subito chiaro il toponimo grazie alla presenza di vacche beate che ruminano con occhi languidi nel prato.
Pare trangugino anche le zolle.

Per capire quanto sia sperduto il villaggio di Valle Vaccaro, vi racconto un aneddoto incredibile.

Durante la seconda guerra mondiale, il paese fu risparmiato dalla furia dei tedeschi perché i soldati teutonici, un po’ babbei, erano convinti che oltre quei poveri massi non ci potessero essere luoghi abitati.
Cristo, insomma, non si era fermato a Eboli ma poco prima di Valle Vaccaro. L’isolamento, in quel frangente, fu provvidenziale.

Il popolo pare che si radunò nella chiesina di Sant’Antonio, restaurata negli ultimi anni dell’ottocento e pregò un giorno e una notte intera, ringraziando il Signore che aveva preservato il paese dalla furia distruttrice degli alemanni.

Fa sempre un certo effetto calcare la terra dove, nella seconda guerra mondiale, si rifugiarono tanti partigiani in lotta contro i tedeschi, nel miraggio di raggiungere una vera libertà.

A me pare che la Resistenza continui ancora oggi in questi uomini che non vogliono abbandonare la loro terra, in barba alla morte dell’economia in quota, alla memoria persa tra cardi e zolle non più calpestate.

 Il borgo in pietra a m.1105 di quota merita una visita.
Si può ammirare la cinquecentesca Chiesa di S. Antonio Abate, appartenente alla Parrocchia di S. Pietro e S. Paolo di Cesacastina. Probabilmente risalente al Cinquecento, è stata ristrutturata nel 1888 e poi anche di recente.

Si presenta oggi in pietra e malta, con tetto a capanna nella cui parte anteriore sinistra, a destra guardando la facciata, è incastonato un campanile a vela che supporta due campane.
Il piccolo borgo presenta abitazioni antiche risalenti intorno alla metà dell’ottocento costruite con blocchi di arenaria senza l’utilizzo della malta, ancora in buono stato.

La sterrata di Valle Vaccaro, proveniente dal paese semi abbandonato di Altovia, incrocia la mulattiera che porta, attraverso un panoramico pianoro dedicato a San Pietro, la sua sella a 1362 metri e la cresta de La Lama, al paese di Cesacastina.
Questa parte del Sentiero Italia è preda, purtroppo, di frasche e ginepri e a volte, diventa oltremodo faticoso procedere.

Con una camminata di trenta minuti si raggiunge l’abitato a oltre mille metri di quota tra abbacinanti vedute del “grande sasso”, il Nume di pietra, come fu ben definito dallo scrittore abruzzese Fedele Romani.
A piedi si è privilegiati perché in auto é una teoria di tortuosi chilometri tra calanchi e casali abbandonati.

Tra le tante sciocchezze che si possono raccontare, c’è quella che da queste parti non arrivi mai nessuno.
Non credete a queste amenità.
L’ultima volta che sono arrivato in paese, nella tarda primavera del 2011, nel terzo occhio della macchina fotografica ho scoperto un gruppo di ragazzi scout in lontananza.
Zaino in spalla, fazzoletto al collo, lupetti e coccinelle avanzavano a fatica verso il pianoro.

Parevano uno sciame d’insetti blu tutto addensato verso un unico punto, sulla distesa verde, dove alzavano tenda.

In paese trovai diverse famiglie e conobbi anche Michele, vecchio terribile seduto sull’uscio semi cadente dallo sguardo vispo di chi la sa lunga.

Curioso come una vecchia comare, il simpatico ottantenne volle sapere da dove venissi e perché andavo a piedi.
Poi mi offrii un buon bicchiere di vino che lui chiamò “il balsamo degli angeli”.

La chiesa di San Salvatore a Canzano, la Cappella Scrovegni d’Abruzzo


L’ampia vallata del Vomano- Mavone è costellata da una serie di edifici romanici di grande valore artistico. Basti pensare all’abbazia di Santa Maria di Propezzano del XIV secolo, San Clemente, Santa Maria di Ronzano, San Giovanni ad Insulam e, nel cuore della Valle Siciliana, San Valentino di Isola.

Forse l’esempio più suggestivo di questa magnifica stagione del Romanico abruzzese è la chiesa dei S.S. Salvatore e Nicola, appena fuori l’abitato di Canzano.

È un monumento che lascia il segno raccontando una storia di fede e arte, scritta nel fascino delle sue pietre e del suo territorio.


L’antica pieve stupenda nella sua semplicità e linearità si presenta solitaria e austera, dall’alto dei suoi secoli di storia.

Bellissima la descrizione che ne fa il noto critico d’arte teramano, Giovanni Corrieri: “La ricchezza della decorazione pittorica di San Salvatore può essere oggi considerata, nonostante la sua frammentarietà, la Cappella Scrovegni d’Abruzzo per la persistenza del linguaggio giottesco, annunciatore di un successivo Rinascimento, che però da noi giunse il modo assolutamente improprio”.

Infatti, l’imponente ciclo di affreschi custoditi all’interno, malgrado vistose mutilazioni dovute dal tempo e dall’incuria dell’uomo, rimane uno dei più estesi e completi esistenti in Abruzzo.
È il frutto prezioso della proficua collaborazione di più artisti di scuola farfense, ispirati dall’insigne Giotto.

Il linguaggio artistico di questo grande pittore penetrò nel ‘300 da Rimini, fino alle Marche e poi in Abruzzo.
Si rimane stupiti, entrando nell’enclave del XII secolo, nell’ammirare opere come “Il Giudizio di Salomone” e “S. Anna e la nascita della Madonna”.

Poche notizie certe sull’ignoto architetto che mirabilmente utilizzò le pietre marroni per innalzare la massa muraria e i pilastri di questo capolavoro.



Gli articoli inseriti nella rivista sono redatti da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
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domenica 24 marzo 2013

Canzano : Il borgo sospeso nel cielo

Un cucchiaio di buon cibo, un pizzico di paesaggio, una manciata di cultura.
Ecco tre ingredienti per catturare l’attenzione del turista su Canzano.
Il borgo, tra vedute pittoresche e scorci da cartolina, nasconde tesori da non perdere.


L’indimenticabile Tiziano Terzani, vestito di bianco candido, descriverebbe così, nella sua maniera forbita, questo posto meraviglioso:
Il Divino Artista è inesauribile con le sue sorprese. Gli spazi sono magici e, nei paesaggi del cielo, le montagne e le colline rivaleggiano con l’atmosfera …”.

Risalendo la valle del Vomano, attraverso la zona rurale di San Martino, il borgo di Canzano appare agli occhi, con il suo tipico aspetto che lo fa sembrare un gigantesco essere vivente, arroccato su di un colle olivato.
Nell’epoca dei social network, del cemento che ingombra i panorami, tra centri commerciali e città assediate da ruspe, è bello trovare ancora luoghi dell’anima.

Parliamo di uno di quei villaggi collinari in Italia pieni di storia e di storie, per chi cerca il bello, l’autentico per ospitalità, gastronomia e arte minore.
 Un luogo sospeso nel cielo tra scorci da cartolina.
Storia sontuosa quella di Canzano.

Alcuni reperti archeologici confermano un insediamento romano.
Il massimo splendore è nel medioevo quando fu costruito un castello.
Allora il luogo si chiamava “Canzanella”, cittadella della Buona vista.
Seguirono anni di dominio degli Acquaviva, Duchi di Atri, le vicende del Regno delle Due Sicilie e l’unificazione d’Italia.

Qui non si è mai rinunciato ai ritmi lenti.
Il piccolo centro defilato in alto, guarda il mare volgendo le spalle alle vette dell’Appennino.
Si respira l’aria dell’”arriere-pays”, come chiamano i francesi, i piccoli paesi dell’entroterra, immuni dall’ostentazione del lusso e dagli schiamazzi della costa.

Dal balcone di una signora che si è prestata a ospitarmi per il tempo di scattare foto di un’incomparabile veduta, il Gran Sasso ancora innevato, luccica come fosse di metallo.

Il borgo è minimo, ma è un’acropoli di antiche dimore e archi, torri, porte e scale dentro un anello di mura, che si sciolgono in rivoli di strade e abitazioni.

Il paese inizia dalla “porta Nuova”, attraversa via Roma e, in piazza, si dirama in un intarsio urbano di vicoli stretti a spina di pesce, come la “strada piazzetta” larga appena 65 centimetri.

Un’antica cinta muraria segna il suo profilo con un torrione merlato del secolo XI.

Noi viviamo di economia agricola - mi dice Antonio Parnanzone, per anni componente della dinamica Pro Loco - ecco perché con Benito Marsilii e Angeloandrea De Martiniis abbiamo il sogno di allestire un museo di cultura contadina con un’associazione che potrebbe nascere grazie alla collaborazione dell’azienda agricola Cerulli Irelli Spinozzi”.

E’ uno scampolo di meraviglia visitato anche dalla Madonna.

Un’antica tradizione racconta del miracoloso apparire della Vergine che, dall’alto di un albero, comunicò a un contadino il desiderio di una chiesa eretta in suo onore.

Oggi questo luogo sacro sorge su uno dei tre colli dell’abitato: Il Castellano, con la chiesa gotico- barocco della Madonna dell’Alno, il Civetta, con un ameno boschetto e San Salvatore con la solitaria pieve omonima.

Da non perdere la chiesa di San Biagio con il suo campanile in cotto e le “neviere”, freschi sotterranei dove, in un’epoca senza frigoriferi, le donne conservavano le provviste familiari.



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sabato 23 marzo 2013

La Domenica delle Palme nella tradizione teramana.

Ancora una volta la piccola processione vespertina della Domenica delle Palme partirà, a Teramo, dalla monumentale chiesa di Sant’Antonio, per giungere davanti al Duomo di Teramo dove verrà officiata la Santa Celebrazione Eucaristica dal Vescovo, Monsignor Michele Seccia.

Il corteo di fedeli con gli immancabili ramoscelli di ulivo sarà ancora il segno tangibile di una partecipazione forte e sentita ai riti pasquali.

Un grande scrittore cristiano, Isidoro di Siviglia, definiva questo giorno, il “Dies Palmarum” il momento della conta per sapere quanto cristiani oggi ancora sopravvivono alle apostasie.

Nella tradizione teramana questo antico rituale nel giorno del "Dies Palmarum", codificato già dall’VIII° secolo, prevedeva oltre alla benedizione delle piantine, una grande processione rievocante scene evangeliche tra le più significative.
I piccoli centri di montagna si univano e preparavano per giorni questo momento di profonda devozione, costituendo degli appositi Comitati organizzatori.

Una di queste grandi processioni, per quel che riguarda la Valle Siciliana, si snodava ad Isola del Gran Sasso, in un momento di fede collettiva tra gli abitanti di Tossicia, Colledara, Castelli e altri centri minori.

Durante il corteo, tra lo sventolio delle palme benedette, alcune comparse inscenavano momenti sacri come l’incontro di Gesù con Maria e Marta e la Resurrezione di Lazzaro.

In alcune antiche edizioni sembra sfilasse anche l’asinello coperto da mantelli (ricordate che nel Vangelo si legge che l’animale era coperto dalle stuoie degli Apostoli?).

Cortei si snodavano ovunque in provincia, avvalendosi dell’organizzazione delle suore che arrivavano da altri luoghi, come le camaldolesi dalle vicine Marche, nell’ascolano.
Tra grossi rami d’albero tagliati per essere agitati ai lati della processione, un coro si elevava all’unisono:

Osanna al Figlio di Davide;
Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! (Matteo 21, 8-9).

Era la rievocazione della grande festa ebraica detta delle “Capanne” che nella notte dei tempi, si svolgeva in autunno, quando le piccole palme dovevano essere agitate almeno tre volte, rivolte verso le direzioni dei punti cardinali.

Le processioni più grandi si svolgevano a Montorio al Vomano, Atri e Pietracamela, dove il corteo dei fedeli giungeva, anche in presenza di neve, dalla frazione di Intermesoli.
Tutti, alla fine del rito, portavano a casa il ramoscello d’ulivo, conservandolo gelosamente accanto al crocifisso che non mancava mai sopra la testata del letto o attaccata ad una immagine sacra, come segno di benedizione divina per la casa e i suoi abitanti.

I non credenti vedono in queste manifestazioni religiose, tra asinelli, piantine e villici che battono le mani, una parodia grottesca di magnificenze imperiali.
Al contrario, questi piccoli trionfi popolari hanno rappresentato la fede più pura.

 La scena del Cristo entrante in Gerusalemme acquistava con questi cortei, solennità, colorandosi di un segno di glorificazione messianica.

La chiesa di San Clemente a Vomano e il tesoro di Ermengarda a Guardia Vomano

Un viaggio senza tempo nella preziosa eleganza benedettina di San Clemente, perla del romanico abruzzese e capolavoro dell’architettura medievale.


Il mostro, istoriato nella pietra bianca del capitello, ha il viso beffardo e la lunga barba.
Intorno si annidano demoni, uccelli, serpenti e fiori d’ibisco.
S’intrecciano voluttuosamente, creando un immaginario fantastico che risalta ancor più nella preziosa eleganza dell’interno e nel rigore della semplicità benedettina dell’esterno.

L’antico cenobio di San Clemente sovrasta il piccolo abitato di Guardia Vomano che custodisce nel suo toponimo il ricordo di una sofferta dominazione longobarda.
L’austera facciata in pietra si raggiunge lasciando la costa adriatica di Roseto degli Abruzzi, inoltrandosi lungo la statale 150, superando il casello dell’autostrada A14.

La chiesa è una splendida derivazione della più famosa abbazia casauriense, dalla quale ha ereditato, oltre al nome del santo, anche un meditato confronto con l’arte classica dei suoi capolavori.
Il tempio non ha guglie prominenti, né rosoni fantastici, non mostra immense finestre dai vetri istoriati, ma l’intrigante gradinata in ciottoli di fiume è l’anticamera di un vero scrigno d’arte.

Adagiato a fianco di un antico cimitero, tra il verde dei campi di una collina che permette di raggiungere con lo sguardo sia il mare sia la montagna, il minuscolo gioiello dell’arte romanica abruzzese domina la vallata.


Le origini di questo monumento sono avvolte nel mistero.
La tradizione vuole che la famiglia reale di Ludovico II re d’Italia dall’844, associato all’Impero con il fratello Lotario e in guerra perenne con i Saraceni, fosse uscita miracolosamente illesa da una congiura ordita dal duca di Benevento, Adelchi.

L’imperatore, dopo lo scampato pericolo, era impegnato nella costruzione dell’abbazia di Casauria e la famiglia imperiale proseguì il suo viaggio verso Nord.

L’imperatrice con il suo seguito si fermò presso il Castrum Wardae, (Castello di Guardia) e fu qui che la madre dell’imperatore, donna Ermengarda, decise di fondare sull’esempio del figlio, un secondo monastero intitolato a San Clemente.

Il complesso divenne la più importante dipendenza casauriense.

L’abbazia nasceva proprio quando il monachesimo benedettino si avviava al suo massimo splendore configurandosi lungo le direttrici delle antiche strade romane, come importante propaggine dei grandi monasteri quali Montecassino, Santa Maria di Farfa, San Vincenzo al Volturno.

Il portale all’esterno si presenta con una pietra scolpita con lussuosi tralci vegetali.

All’interno, in tre navate e con il presbiterio rialzato, l’immagine che ci si aspetta cupa, sepolcrale, in penombra è, al contrario, festa d’immagini.

Dai capitelli che rimandano alle importanti testimonianze di San Liberatore a Majella e Santa Maria di Bominaco dell’Aquila, spuntano volti demoniaci tra grovigli inestricabili dai quali s’intuiscono teste di arieti e capri, oltre a un uomo che curiosamente si morde il piede.

Sul presbiterio sopraelevato, spicca il ciborio a base quadrata con una copertura sostenuta da quattro colonnine.

È un vero capolavoro attribuito alla bottega artistica di Ruggero e dei figli Roberto e Nicodemo, un’opera notevole caratterizzata da un’estrosa decorazione con intrecci di nastri, figure antropomorfe, forme vegetali e grifoni alati.

Da alcuni anni sono tornati alla luce, pietre della prima fondazione e una serie di ambienti utilizzati come sepolture.

I ritrovamenti sono visibili con un piano calpestabile in vetro.

San Clemente al Vomano merita una visita.
È un presidio di fede, testimonianza del primato di Dio.



Gli articoli inseriti nella rivista sono redatti da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
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