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giovedì 19 dicembre 2013

Santa Maria di Propezzano

Gli orizzonti sono dolcemente mossi come lenzuola gonfiate dal vento.
Morbide ondulazioni gialle di grano, orlate dal verde degli alberi si rincorrono fino a morire ai piedi delle pietre consumate dal tempo dell’austera costruzione dell’abbazia di Santa Maria di Propezzano.

Il paesaggio si dispiega dolce, con docili quinte di colore sfumato.

Ma è sufficiente buttare lo sguardo in fondo alla valle Siciliana, alla grandiosa dolomia del Gran Sasso tra foreste tumultuose e girare gli occhi a 180 gradi tuffandosi nelle acque dell’Adriatico, per rendersi conto della grandiosità d’insieme.

La strada quasi isolata che attraversa le ordinate colline di campi ubertosi ricchi di vigneti, poco distante da Notaresco, in territorio di Morrodoro, porta all’ austera costruzione, oggi restaurata, della chiesa di Santa Maria di Propezzano dominata da una quadrata, e tozza torre campanaria.
Giuseppe Ceci, in un vecchio libercolo degli anni ’60 ipotizzava che, in un tempo lontano, questa fosse un torrione merlato a guisa di castello.

A fianco c’è il bellissimo convento benedettino, dalla mole così imponente da far ipotizzare una importanza abnorme nel periodo medioevale sia a livello religioso che civile.
Il mare è ad una manciata di chilometri. Non più di una ventina di tornanti.

In mezzo alle colline, quando il vento soffia, assapori il profumo aspro del verde.

Un luogo di stupore, che parla dell’invisibile con i segni dell’arte e del tempo.

Chissà se i pellegrini che si trovavano nel luogo dove oggi si erge la secolare abbazia di Santa Maria di Propezzano, usavano la zucca come borraccia o se, alla pari di quelli di Santiago de Compostela avevano con loro anche le conchiglie.
O se usassero la palma come quelli di Gerusalemme.
Di certo quei pellegrini oggi indosserebbero vestiti colorati, scarpe comode e di marca, k-way ipertecnologici, zaino e berretto e teli antipioggia.
Al posto del bastone avrebbero la racchetta da trekking, leggera e telescopica.

I pellegrini alemanni, secondo la leggenda, per alcuni tornavano da una visita alla tomba di San Pietro, per altri da un estenuante viaggio in Terra Santa.
Affaticati, vollero fermarsi per il giusto riposo.
Appesero le povere bisacce, contenenti sante reliquie, su di un corniolo e si addormentarono.
Al risveglio, con sommo stupore, i pellegrini si accorsero che l’albero era cresciuto a dismisura e che risultava impossibile prendere le borse.
Ecco che mentre, attoniti, guardavano l’albero ingigantito, una visione celeste ordinò loro di edificare una chiesa.
Era la Vergine Maria.

In verità la Madonna doveva amare fortemente la nostra terra se è vero che un'altra apparizione avvenne molti anni dopo nel contado del Perdono a Canzano e sulla collina prospiciente Giulianova Lido dove poi sorse l’attuale monastero dello Splendore.

L’antico insediamento di alto pregio artistico di questa abbazia romanica, secondo una antica scritta in carattere gotico ormai quasi scomparsa sotto il portico, risalirebbe al 715 d.C.

Esisterebbe anche una pergamena, oggi non più leggibile, logorata dal tempo, che lo storico Nicola Palma dovette copiare e decifrare quando era ancora comprensibile.
Questa specie di bolla che molti attribuiscono a Bonifacio IX, comunque scritta in latino, determinò la datazione della edificazione dell’abbazia proprio in quell’anno.

Il 10 maggio, data in cui tuttora qui si festeggia la Madonna, il Papa Gregorio II consacrò in modo solenne questo tempio a Santa Maria propizia pauperis con l’annesso monastero, che divenne subito punto di riferimento lungo il percorso adriatico verso la Terra Santa.

Questo sarebbe ciò che dice la pergamena e a nulla vale ricordare che Gregorio divenne papa dopo la data della consacrazione della chiesa e non prima.
Il corpo centrale del complesso ha un portico a tre archi sotto il quale si trova il portale e resti di affreschi del ‘400, sopra il portico una grossa finestra tonda e più in alto un sobrio rosone; la parte di destra presenta un portale detto Porta Santa che viene aperto solo il 10 maggio e il giorno dell’Ascensione.
Appena dietro troviamo la torre campanaria quadrangolare.

A proposito della grandiosa Porta Santa, l’opera proviene dalla scuola atriana del 1300.
Gli esperti la attribuiscono a Raimondo Del Poggio, superbo autore del meraviglioso portale del Duomo di Atri, vissuto alla corte degli Acquaviva, signori della città ducale.

Ne parla diffusamente il Palma nel suo libro: “Storie delle terre più a nord del Regno di Napoli”.
Il portale viene aperto durante la festa che ricorda l’apparizione della Madonna e durante l’Ascensione, per tener fede alla Bolla Indulgentiarum papale emessa dal Papa Martino V, il quale concesse indulgenze in queste due solennità per far sì che la chiesa fosse massimamente visitata in quei periodi.
L’abbazia fu completata nel 1285.
E’ una specie di enigma anche la costruzione della chiesa che, contrariamente alla successione degli stili, inspiegabilmente è stata iniziata in forme gotiche e terminata in forme romaniche.
La facciata è costituita da tre parti di diversa altezza; la parte di destra è accorpata nel convento, all’interno di questo c’è uno splendido chiostro con dipinti del seicento e al centro un pozzo artistico.
Sotto gli archetti che girano tutto intorno al chiostro si trovano delle lunette con affreschi del pittore polacco Sebastiano Majewsky sulla vita di Gesù.

Nella facciata spicca un artistico rosone formato da tetti concentrici con fregi in terracotta con sopra lo stemma dei potenti della famiglia Acquaviva.

Sotto il portico, a tre archi a sesto acuto sorretto da colonne, l’ingresso della chiesa ha una porta in legno con fregi di giglio.


Nel libro del Ceci si rimarca che le colonnine sono in stile cosmatesco, simili con le dovute differenze, a quelle dell’ insuperabile San Giovanni in Laterano a Roma.

Con la parola “cosmati”, si designano gli scultori romani artefici di una interessante fioritura artistica intorno al XIII secolo.
L’interno sobrio ed elegante della chiesa non è di quelli indimenticabili, ma le tre navate incutono rispetto e desiderio di preghiera con la poca luce, tipico delle chiese romaniche dove le finestrelle si presentano tutte minuscole.
Resterete sicuramente ammirati da una pittura raffigurante l’Annunciazione dell’Angelo alla Vergine.
A dir poco stupendo l’antico refettorio dei frati con i suoi pregevoli affreschi.
L’ultimo sguardo è per la torre campanaria che, in maniera inusuale risulta non incorporata alla facciata, ma distante circa due metri da essa.

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Come arrivare:
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da Napoli: A1 NA-RM uscita Caianello / proseguire lungo la SS 372 direzione Vairano Scalo / poi SS 85/ SS 158 direzione Colli al Volturno / seguire indicazioni per Castel di Sangro / Roccaraso/ Sulmona / A25 direzione Pescara
A14 direzione Ancona uscita Roseto degli Abruzzi / proseguire in direzione Valle Vomano / Morro d'Oro

mercoledì 4 dicembre 2013

Il "castellano" saggio:

Ascolta il tuo cuore. Esso conosce le tue cose!

“Sai qual è la prima virtù di un pastore?
È la pazienza, quella s’impara molto presto”.

L’uomo aspira avidamente il fumo dell’improvvisata sigaretta fatta di cartina arrotolata e trancio di tabacco di infimo valore a giudicare dal cattivo odore.


Sopra le nostre teste, la gramigna vetta è chiusa in una morsa di nembi grigi.
È scesa la prima neve sui monti della Laga.
Fa freddo ma venire fin qui è valsa la pena!

“Poi - continua - s’impara a tosare, accudire le pecore gravide, a proteggere gli animali e le cose dai lupi, ad ammazzarle senza farle soffrire in caso di malattia.
Infine ci si affeziona alle bestie che riconosci una per una e ti diventano di famiglia.

Ti accorgi di quale manca, quale partorirà presto, la pigra, la più vispa, la recalcitrante furba.

Cosa credi tu uomo di città, la pastorizia è arte per pochi”.

Rocco ha quasi ottant’anni, faccia ancora avvizzita dal sole nonostante l’inverno ormai arrivato, pizzetto da satanasso e ancora va dietro a qualche pecora insieme alla fida Luna.
Tutta l’estate se ne va lungo i piedi della montagne della Laga, tra la Macera della Morte, Cima Lepri e le foreste di San Gerbone, insieme alle sue bestie.

Poi i due figli, in autunno portano le pecore in pianura e le risalgono su in aprile.

La cagna rimane con il suo amato padrone avanti negli anni.
Ha il pelo nero arcigno drizzato dalle folate di vento che ogni tanto imperversano nella zona.
Magro all’osso, l’uomo pare opporsi con fatica all’aria viaggiante.

Mi pare di essere sul set di un film d’altri tempi.

Qui la montagna è come la madre di quei pochi irriducibili che non volgiono rompere con le proprie radici.
“Ma quale madre - quasi urla il vecchio - questa è una montagna cattiva, dura e buona solo per pastori e eremiti.
E poi l'hai sentita l'ultima scossa l'altra sera? Il terremoto non ci lascerà mai”.

Nulla di più vero.
Un tempo e fin dall’antichità, sia i transumanti che gli asceti avevano l’uso comune delle grotte e dei ripari di fortuna in caso d’intemperie.

Queste due dimensioni antropologiche e sociali, così diverse e apparentemente distanti, hanno vissuto per lunghi secoli in contiguità tra loro.

Oggi che gli asceti sono scomparsi dalle forre d’Abruzzo, quasi inesistenti ormai i pastori, gli eremi, le capanne in pietra, continuano a segnare il paesaggio della Laga, tra anfratti naturali, gole, fitti boschi.

Quest’uomo d’altri tempi che fa pascolare le sue bestie pare confermare tutto ciò.

“Noi pastori siamo razza strana, amico mio! Io ancora oggi sono superstizioso.
Guarda, da anni porto in tasca queste due pietre lisce che trovai da ragazzino nel bosco sotto Lama.
Le tasto, me le rigiro nella tasca dei pantaloni e mi sento tranquillo”.
Ride un po’ sguaiato l’uomo antico mentre mostra i suoi antichi talismani improvvisati.
È una gioia ascoltarlo!
“Le pietre che ho con me da cinquant’anni, sono comunque nuove perché non c’è mai niente di nuovo sotto il sole”.

Proprio un pastore poeta mi doveva capitare!
Mi segno questa frase un tantino sibillina nel mio taccuino.

Il vecchio, dopo una suonata con la sua armonica a bocca, si allontana non prima di aver lanciato le sue ultime chicche:

“Il mondo è da vivere senza fretta e pazienza proprio come facciamo noi pochi pastori rimasti in giro.
Custodisci sempre quel poco che hai come faccio io con queste mie pecore.
Anche se hai poco, ricorda che siamo troppo piccoli per abbracciare il mondo”.

Si è alzato il vento, portando non solo gli odori della terra.

Pare trasportare anche il sudore di chi lavora senza mai fermarsi, i sogni degli uomini che credevano in una vita facile, ricca di soddisfazioni e che hanno trovato un’esistenza di stenti.


Invidio la libertà del vento!


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I monti della Laga, parte teramana si raggiungono da più parti. 
La valle del Castellano si raggiunge da Teramo per la strada provinciale 48 per il Ceppo e poi la 49, venti chilometri per Valle Castellana.
Da Ascoli Piceno sono circa venti chilometri.  

Il mio caro amico Alessandro de Ruvo, artista della foto, ambientalista del C.A.I. e cultore della montagna, mi ha concesso l'utilizzo dei suoi stupendi scatti di montagne innevate! 
Grazie Alex!

lunedì 2 dicembre 2013

Guardiagrele: La città di pietra!

Quando l’amico Raffaele Tini organizza una scorribanda mangereccia, vale sempre la pena seguirlo perché alla buona cucina si abbina anche una lezione di cultura.

Ecco che una bella serata ci porta a fare un po’ di chilometri alla ricerca della “città di pietra che risplendea al seren di maggio”.

È questa l’eterea e immortale definizione del bellissimo borgo di Guardiagrele, nella Majella tra il pescarese e il chietino.

Siamo in un angolo d’Abruzzo bello e discreto, ai margini di un mondo di gole e forre, valli silenti sormontate da immani pareti, guglie e creste scolpite da sole, vento e neve.
Un patrimonio di severa bellezza in ogni stagione dell’anno, che ben si integra con le più profonde tradizioni artigiane di orafi, ricamatori e fabbri.

Nel borgo vivono poco più di mille abitanti. Fuori dal paese, un paesaggio aspro, dove però non mancano pascoli e dolci colline, fino all’Adriatico in circa quaranta chilometri di tornanti.

Più su, fitti boschi incantati, antiche selve dove l’Appennino è più vero.
Chiome d’alberi che hanno ispirato artisti e poeti, che hanno dato rifugio a santi e monaci, chierici e briganti.
Oggi rappresentano l’ultimo vero Eden, il nascondiglio per cinghiali, lupi, aquile e camosci.

Bisogna dire subito che da questa parti si mangia da Dio ovunque, pasteggiando con ottimo vino.

Basti pensare che tra le tante, ottime aziende agricole si annoveri la mitica cantina Masciarelli, marchio famoso nel mondo per il vino abruzzese.
Questa è terra di pastori e gli uomini ai piedi della montagna madre hanno dedicato e dedicano ancora la loro vita ad accudire pecore e a produrre formaggi di bontà infinita.

Sempre qui, non molto lontano, grazie a tecniche tradizionali e acqua pura che arriva dai valloni di montagna, si producono le paste delle migliori aziende del settore come la De Cecco, la Del Verde.
Come dimenticare, poi, che la “Guardia”, come definiscono il paese, i suoi abitanti, è tra i “borghi più belli d’Italia”, speciale classifica nazionale sulle eccellenze paesaggistiche e storiche?

Basterebbe declamare i versi del poeta Modesto Della Porta per scoprire tutta la bellezza naturalistica e i tanti artisti di una città che il D’Annunzio amava profondamente.

Si narra, a tal proposito, che il Vate arrivò la prima volta a Guardiagrele, in giovane età per accompagnare la madre che cercava i famosi utensili in rame forgiati a meraviglia dai maestri artigiani locali, nel borgo antico.

Scoprì allora il grande poeta questa incredibile fucina di arte tra splendide lavorazioni di metalli e sontuosa arte orafa, tramandata dal grande Nicola da Guardiagrele le cui opere sono sparse ovunque a cominciare dalla croce astile che fa bella mostra di sé a San Giovanni in Laterano a Roma e, per finire, al magico “Paliotto”, custodito nel Duomo di Teramo.

Oggi i suoi emuli, nelle loro fucine, battono con perizia il martello sulle loro incudini, forgiando ancora opere d’arte.

Ancora oggi tra feste popolari di rara bellezza e di tradizioni custodite gelosamente, da cinquanta e passa anni si svolge una tra le più belle Mostre dell’Artigianato Artistico Abruzzese, manifestazione famosa in tutta Italia.

Davanti la porta di San Giovanni sembra di essere immersi in un suk marocchino.
Tutto intorno botteghe, turisti infreddoliti dai portafogli imbottiti, artigiani dai larghi sorrisi.

Alle mie spalle, un rimescolio di creste dirupate e biancastre, di fianchi, ora tinti del pallido verde dei prati, ora spruzzati del candido vello bianco di una neve soffice, ora immersi nel colore smeraldo cupo delle boscaglie di faggi.

La guida rossa del Touring recita: “…a Guardiagrele si lavora di fino, si cesella, si ricama!”.
Tra una “presentosa” in filigrana, una sedia in paglia, un merletto in frange e nodi, un baule della nonna, un”barrique” in legno, un vaso di coccio e un pentolone in rame, sembra di essere tornati indietro nel tempo.

Attraverso le strette vie giungiamo in piazza.
All’angolo della chiesa di Santa Maria Maggiore si conservano gli stemmi delle famiglie nobili che si sono avvicendate nella vita politica e sociale del paese.

La basilica dell’XI secolo è meravigliosa, non a caso fa parte di un elenco di monumenti europei da salvaguardare così come notevole è il complesso monumentale di San Francesco d’Assisi.

Ci affacciamo all’altro balcone, quello meridionale rivolto verso il mare di Pescara.

Che meraviglia!
Due vedute speculari fra loro, ad abbracciare mare, colline e monti.
È ora di mangiare e a ben vedere anche in cucina Guardiagrele non ha nulla da invidiare.
Nel menù abbiamo gustato una delicatissima pasta con broccoli, agnellino di montagna in umido con patate al forno.
Infine, ecco il dolce tipico: Le Sise delle monache, due strati di soffice pan di spagna con crema pasticcera che ti rende buona la vita.
Il dolce fu creato da un grande pasticcere locale, tal Giuseppe Palmerio nel 1884.

I clienti, seduti al tavolo del caffè pasticceria, che assaggiarono per primi la creazione dello chef, rimasero estasiati dal sapore e, per la forma delle paste, imposero il nome un po’ dissacrante in onore dei seni delle suore nel vicino convento di clausura.

La passeggiata a Guardiagrele è giunta alla fine.

E mentre la mia gentile signora mi svuota la carta di credito nelle botteghe artigiane, torno verso le mura settentrionali, a rimirare l’impagabile veduta della
dea Maiella.

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Come raggiungere il borgo:
Da Nord:
Dall'autostrada Adriatica A14 in direzione Ancona, uscire a Pescara Ovest/Chieti e immettersi sull’Asse Attrezzato in direzione di Chieti, prendere la SS 81 in direzione di Guardiagrele.
Da Sud
Dall'autostrada Adriatica A14 in direzione Pescara, uscire a Val di Sangro, seguire la direzione Villa S. Maria, prendere la SS 652, continuare sulla SS 81 in direzione Guardiagrele.

sabato 23 novembre 2013

Una green way da Teramo ai monti della Laga? Perché no?

Il 16 novembre scorso a Teramo è stata presentata la nuova mappa sentieristica dei monti della Laga, realizzata dal C.A.I. sezione di Teramo.

Da anni la massima associazione ambientalista delle montagne italiane stava lavorando a questo importante progetto.


Tra i vari interventi c’è stato anche quello del prof. Filippo Di Donato, già esponente del Consiglio Direttivo Federparchi, il quale ha sottolineato l'importanza turistica e culturale di avere una rete di percorsi facilmente fruibili e ben tenuti, in grado di condurre turisti e amanti della natura alla scoperta delle infinite meraviglie che la nostra terra è capace di dare.

La sentieristica principale, insieme all’ormai noto e collaudato Sentiero Italia, deve avere la precisa peculiarità di poter collegare i centri abitati tra loro, con i borghi a rappresentare le porte di accesso alla montagna.

Da tempo il Coordinamento Ciclabili Abruzzo Teramano, l’insieme di oltre sessanta associazioni ambientaliste predica la necessità di realizzare una Teramo mare ciclo pedonale e si dice convinto che Teramo meriti anche una via escursionistica che colleghi la città alla Laga risalendo il Tordino.

Si potrebbero riscoprire antichi tracciati (come le vie di transumanza, le mulattiere dei carbonai, le vie dei pellegrini, i vecchi tratturi, ecc.), come pure realizzare luoghi di sosta presso rifugi, bivacchi, agriturismo, alla continua scoperta di piccoli paesi, chiesette, castelli, tabernacoli, antiche poste per cavalli, seccatoi.

Il comune di Teramo sta intanto realizzando in queste settimane un breve tratto di ciclopedonale lungo il Tordino, accanto alla scuola per i Geometri; il percorso poi proseguirà affiancando gli scavi archeologici di Ponte Messato per poi avanzare verso monte lungo un nuovo tratto il cui progetto è al vaglio della Regione Abruzzo.

Il desiderio di camminare è tanto e si denota anche dalle centinaia di escursionisti notturni che due volte la settimana si riunisce, alle nove di sera, sotto la guida del dott. Piero Sinigaglia, per camminare nelle vie della città e nei parchi fluviali.

Numerosi sono anche coloro i quali vogliono pedalare su percorsi naturali partendo dai centri abitati, senza dover per forza trasferirsi in montagna o nella ciclabile costiera.

Una via verde che colleghi ai monti della Laga riscoprirebbe anche un patrimonio storico, artistico e culturale della nostra provincia, manufatti antichi che hanno rappresentato le radici sociali della nostra gente: i mulini e i frantoi.
Basta, infatti, salire a monte di Teramo, anche solo pochi chilometri, per riscoprire resti di attività che per più di duemila anni hanno accompagnato la vita dell’uomo.
Ruderi di architettura d’artigianato locale che hanno funzionato fino agli inizi degli anni ’70.

I mulini sono stati per lungo tempo il centro della vita economica e sociale, luogo d’incontri, d’intrecci culturali e scambi di esperienze.

Questi tesori che costellano le valli del Tordino e del Vezzola, a volte sono mimetizzati tra impervi sentieri lungo le sponde dei due fiumi, a volte stanno morendo tra querceti e scampanii di pecore, oppure in qualche caso sono stati ristrutturati e adibiti ad abitazioni private.

I mulini dell’alto Tordino sono poco meno di una ventina.
Si trovano a Padula, Caiano, Elce, Casanova, Servillo, Faiete e Lame, nel territorio di Cortino, a Fioli, Fiume e Castiglione di Rocca Santa Maria e, nelle vicinanze di Teramo, a Varano e Travazzano di Valle S. Giovanni, Villa Tordinia e Villa Ripa.
Sono luoghi di sconfinata bellezza, oggi spesso persi tra sterpaglie, ma un tempo pieni di vita e di uomini.

Ancora più interessanti per molti versi, i mulini del Vomano, spesso inseriti in un contesto paesaggistico di rara bellezza come i manufatti di Poggio Umbricchio e, poco sotto, di Senarica, recentemente restaurato per ricettività turistica.

Sono protetti da alti e splendidi canyon, tra piccole cascate e vegetazione di ciliegi, meli selvatici, acacie e roverelle.

Sulle sponde del torrente Zingano c’è forse uno dei più antichi mulini della vallata, in località Cervaro, strada provinciale di Cesacastina, un chilometro prima del paese. Ristrutturato già nel 1812, oggi ha avuto un’ ulteriore ricostruzione ed è possibile visitare l’ambiente dove erano sistemate le macine per il grano e intuire ancora i canali di derivazione e restituzione delle acque.

Queste opere d’ingegno venivano realizzate in specifici punti dei fiumi, dov’era garantita una buona
affluenza delle acque e dove non c’erano fenomeni di piena distruttiva.

Ai tempi in cui si mangiava pane e lenticchia, qualche fico o castagna, tempi in cui il prete faceva anche da medico e ti dava prima l’infuso di erbe e poi i sacramenti, uomini che trasudavano lavoro e passione per la montagna hanno chiesto di non essere dimenticati.

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(Grazie per la preziosa collaborazione al professor Lucio De Marcellis)

giovedì 14 novembre 2013

Santa Maria di Ronzano: gioiello del romanico nel teramano.

Uno dei monumenti sacri medievali più originali e interessanti si trova in splendido isolamento nelle campagne di Castel Castagna, località Ronzano davanti a uno spettacolare panorama della catena del Gran Sasso d’Italia.

Siamo nel cuore della valle solcata dal fiume Mavone, meglio conosciuta come Valle Siciliana, così fertile da essere definita dai greci e dai fenici “luogo di fichi e olivi e dove si stanziarono tre millenni fa, racconta lo storico Tucidide, i siculi alla ricerca di un posto ubertoso.

Santa Maria è una chiesa fantastica, un tempo parte di un complesso monastico fondato dai benedettini.
La facciata a capanna spezzata è particolarmente affascinante.

Accoglie tre portali, la ruota di un rosone (oggi finestrato) e due piccole monofore, le cui forme semplici e lineari sono messe in risalto dalla dicromia creata dall'accostamento del cotto e della pietra.

Qualcosa di molto elegante che contrasta con la posizione agreste del tempio.

È difficile trovare aperto questo luogo, purtroppo.
Questa è una dolente caratteristica dei luoghi di culto più belli nel teramano.
Accade ciò a causa di continui furti che hanno depauperato luoghi sacri isolati e incustoditi.

Io sono riuscito a scattare diverse foto grazie alla gentilezza di una signora del luogo che conserva le chiavi di questo gioiello.
La donna apre il portale ai visitatori che hanno tra le loro virtù una buona dose di pazienza nell’attesa.

La chiesa ha origini antichissime.

La sua storia è oscura.
Pare che i primi documenti e una bolla papale siano databili al 1183, anche se molti studiosi danno l’edificazione alla seconda metà dell’XI secolo.

Dalle caratteristiche strutturali sembrerebbe invece che sia avvenuta nella seconda metà del XII secolo, data la vicinanza con esempi più eclatanti di romanico pugliese come la cattedrale di Bari o il duomo di Bitonto.

Il luogo evoca anche esempi di arte orientale, soprattutto nelle arcate cieche e in particolari decorazioni di stile bizantino.
Tra i tesori della chiesa c’è la bella statua lignea gotica raffigurante Santa Maria con il Bimbo, gelosamente custodita dal popolo locale, dopo averla restaurata.

Molti esperti comunque concordano sul fatto che secoli prima qui esistesse un luogo di culto dedicato a dei pagani.

Entrando al suo interno, di dimensioni modeste, si riscontra chiaramente la pianta classica delle opere benedettine: tre piccole navate terminanti con absidi, archi a tutto sesto retti da pilastri cruciformi e transetto lievemente sporgente su due lati.

Particolarmente attraente è il ciclo di affreschi che ricopre l’abside maggiore, la parte destra del transetto.
Sono pitture medievali tra le più belle in Abruzzo con soggetti presi dalle storie narrate dall’Antico e dal Nuovo Testamento.

Rimangono alla mente soprattutto la classica raffigurazione del Cristo Re, l’Annunciazione tra gli Apostoli e i quattro evangelisti e dei mini cicli sulla Creazione, opera di una mano diversa per stile e colori.

Santa Maria di Ronzano è solo uno dei gioielli del romanico nella valle che ospita altri capolavori sacri come Propezzano di Notaresco, San Salvatore di Canzano, San Clemente a Guardia Vomano e San Giovanni ad Insulam di Isola del Gran Sasso.

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Come arrivare:
A24 RM-TE uscita S. Gabriele-Colledara/ proseguire in direzione Castelcastagna/ Ronzano da Napoli: 
A1 NA-RM uscita Cassino / proseguire in direzione Sora / Avezzano / A25 direzione L'Aquila-Teramo / A24 uscita S. Gabriele-Colledara / proseguire in direzione Castel Castagna/ Ronzano

domenica 10 novembre 2013

La Misericordia di Tortoreto Alto

Il borgo collinare di Tortoreto Alto, affacciato sull’Adriatico, è un piccolo gioiello del teramano.

Passeggiando tra le viuzze degli antichi quartieri di Terranova e Terravecchia, è possibile scoprire un vero tesoro d’arte sconosciuto a molti: La cappella della Misericordia.

È un minuscolo luogo sacro, che presenta all’esterno un aspetto quasi anonimo.

La chiesa è integrata perfettamente tra le abitazioni, tanto da essere ignorata da molti turisti che in estate, la sera, lasciano la solita passeggiata sul lungomare, per recarsi in collina a godere aria fresca.


Basta entrare per essere colpiti dall’austerità di una sala unica divisa in due campate con un bel soffitto dalla volta a crociera e una piccola abside, gioiello tutto affrescato.

Il ciclo pittorico che avvolge l’intero ambiente, racconta con tocchi maestrali, gli episodi salienti della vita di Gesù, soffermandosi soprattutto sui momenti terribili della Passione di Cristo.

Davanti agli occhi dei visitatori appassionati d’arte, sfila la preghiera del Salvatore tra gli ulivi del Getzemani, la cattura e la presentazione davanti al volto truce di Caifa.

In un crescendo emozionale, si ammirano la Flagellazione, l’incoronazione di spine e la difficoltosa ascesa al Calvario.

Si arriva, come spettatori del susseguirsi degli eventi, alla Morte in croce e alla Deposizione del Signore.

Subito dopo, ecco la Speranza che deve animare il cristiano fedele: La Risurrezione che è presentata sublimemente, dai quattro Evangelisti.

A ricordo della pestilenza, vinta dall’amore infinito della Vergine per il paese di Tortoreto, debellata grazie alla Sua intercessione verso Dio, ecco la sfilata di santi.

Sono gli uomini graditi al Cielo, da San Rocco a Sant’Antonio da Padova, ammaliati nello sguardo dall’infinita Misericordia di Maria.

Non manca comunque una pittura che racconta il momento gioioso della vita della Sacra Famiglia: La Nascita del Bambino nella grotta umile di Betlemme.

Secondo gli esperti non c’è dubbio che la cappella, che anticamente celava un luogo di culto pagano, abbia i crismi architettonici del Rinascimento, che in Abruzzo soprattutto nel secolo XVI, ebbe grandi esponenti in costruttori giunti dall’Italia del nord.

 Il tempio fu dedicato alla Madonna come ringraziamento per il miracolo della liberazione da una pesta virulenta che aveva colpito il teramano, soprattutto la parte costiera intorno al 1525.

Accanto alla cappella c’era anche un piccolo lazzaretto per il ricovero degli appestati che poi divenne ospedale che funzionò fino ai primi anni dell’ottocento, secondo gli scritti dello storico teramano Nicola Palma.

Non è chiaro definitivamente chi abbia lavorato a questi affreschi.
Lo stile riporta, inequivocabilmente a Cola d’Amatrice che soleva spesso venire in questi luoghi per insegnare arte a giovani promesse.

Fra questi, gli esperti pensano che a realizzare il ciclo pittorico sia stato proprio il suo allievo più fecondo, quel Bonfini che affrescò diverse chiese dei borghi affacciati sul mare Adriatico.


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 Come arrivare a Tortoreto Alto:


IN AUTO: Autostrada A14 Uscita Val Vibrata

IN TRENO: Stazioni di Alba Adriatica (a nord), Tortoreto e Giulianova (a sud)

IN AEREO: Aeroporto di Pescara 50 KM



San Gabriele dell'Addolorata: Il santuario dei prodigi

Si muovono a piedi silenziosi alle prime luci dell’alba.
Avvolti nelle loro tuniche nere, i passionisti, dediti a San Giovanni della Croce, camminano in fila indiana per recarsi al santuario maggiore e recitare, come ogni mattina, le Lodi.

Nella nebbiolina umida delle prime ore del giorno, l’aria che giunge dal vicino Gran Sasso è frizzante.

C’è intorno una sensazione di pace che scomparirà fra qualche ora, quando giungeranno da ogni dove i pellegrini come ogni domenica che ha fatto il Signore.
Le botteghe apriranno i battenti per propinare souvenir religiosi, i ristoranti tireranno a lucido le sale e i vigili avranno il loro bel da fare per tenere in ordine il grande piazzale preso d’assalto da migliaia di vetture e bus.

Questo di San Gabriele è uno dei quindici santuari più visitati al mondo, al centro di un triangolo sacro che comprende Loreto e San Giovanni Rotondo e che si trova a pochi chilometri dalle meravigliose chiese romaniche della vallata del Vomano.
Vi giungono pellegrini da tutto il mondo.

È all’ottavo posto per numero di visitatori tra i luoghi di culto italiani secondo l’annuario dello SPI, la Segreteria pellegrinaggi italiani.
E pensate che, secondo i calcoli dell’americana Mary Lee Nolan, nella sola Europa Occidentale sarebbero circa seimila le chiese che entrano nella categoria di “santuario”, cioè un luogo sacro verso il quale converge un itinerario di fede per celebrare una presenza sacra cristiana.

Numeri impressionanti qui a pochi metri dalla piccola Isola del Gran Sasso, che sottolineano un vorticoso andirivieni di fedeli sfiorante la ragguardevole cifra di due milioni e mezzo.

Nel 2009 al santuario sono state distribuite circa 315 mila comunioni e considerate che in genere la media dei pellegrini che ricevono la particola consacrata è di 1 su 6/7.

L’autostrada dei Parchi ha registrato al casello di uscita dell’A24 Roma Teramo qualcosa come 652 mila autoveicoli.
Un’ affluenza record che rese necessaria, a partire dal 1970 in poi, la costruzione della nuova basilica, un imponente struttura architettonica ispirata alla sagoma di una grande nave, metafora della Chiesa in cammino nel mondo, capace di accogliere oltre diecimila pellegrini al giorno.
Don Giacomo Alberione della Famiglia Paolina, soleva dire che “per il Signore non si deve fare economia; da Lui abbiamo tutto, le cose più belle devono essere sue”.

La grande stiva di questo transatlantico a forma di croce greca, lunga novanta metri e larga trenta, è la cripta di San Gabriele, inaugurata da Giovanni Paolo II nel 1985.
Le quattro vele d’acciaio paiono protendersi verso l’infinito degli altrettanti punti cardinali.

Ne è passato del tempo da quando San Francesco transitò in questo luogo ai piedi del re dell’Appennino.
Era in compagnia del Beato Anastasio di Penne, appena dopo il Concilio Lateranense IV del 1215.

Si recava nella Valle Siciliana per portare pace, come suo solito, tra le famiglie agiate che rivendicavano, bellicosamente, terreni e proprietà.

Il poverello d’Assisi era definito il “giullare di Dio”, capace di radunare intorno a sé le folle, scuotendo una bacchetta di legno o suonando un corno.

La cultura del cantastorie gli era giunta dalla madre, tipica madonna della Provenza, terra di trovatori.
La ventiduesima carta dei Tarocchi, come saprete, distingue il giullare dal buffone; il primo al contrario dell’altro non teme di sbeffeggiare i potenti, quindi è rappresentato nudo, con nulla da nascondere.

Ecco, il sorriso di San Gabriele dell’Addolorata, il santo dei miracoli, non nasconde la gioia di vivere e nasce forse dai geni del Patrono d’Italia, del quale aveva avuto in comune il vero nome, Francesco Possenti e il luogo di nascita.
Nel 1838, infatti, il futuro protettore d’Abruzzo, vedeva la luce in una Assisi immersa nel profondo dell’Umbria. Gabriele, a diciotto anni,dal noviziato dei passionisti a Morrovalle di Macerata, scriveva ai familiari che, “sì, è vita dura, ma anche continua gioia … non cambierei un quarto d’ora della mia esistenza qui”.

Non aveva venticinque anni quando il ragazzo, il 27 febbraio del 1862, si congedava prematuramente da una vita semplice, contrassegnata dal sorriso perenne e dalla eroicità del quotidiano.
Era stato consumato dalla tubercolosi.
E quando nel 1892, dopo l’esumazione delle sue spoglie mortali, accaddero i primi strepitosi prodigi e le tante inspiegabili guarigioni operate da Dio per sua intercessione, l’amante della vita, divenne nel mondo, il santo sorridente, il vero modello per le giovani generazioni .
Da lì la beatificazione nel 1908 e la canonizzazione del 1920.

La figura di Padre Vincenzo Fabri risalta sui graniti policromi e gli intarsi geometrici della gradinata d’accesso.

Il religioso è anche un conosciuto e apprezzato giornalista, addetto stampa per il santuario che annovera tra le sue importanti iniziative, una fortunata rivista, L’Eco di San Gabriele, edita per circa mezzo milione di lettori.

Dalle vetrate a nord s’intravede a tratti il complicato meccanismo dei quattordici bronzi finemente lavorati.
Quando suonano muovono qualcosa come 25 tonnellate di materiale.
Il passionista racconta della campana cosiddetta ecumenica, dal peso di quaranta quintali, scolpita con le sette scene che rievocano i momenti più importanti nella vita del santo.
C’è il bassorilievo dello storico abbraccio tra Paolo VI e il patriarca di Gerusalemme Atenagora, nel 1964 e all’altro lato le figure scolpite di Giovanni XXIII e J. Kennedy, grandi operatori di pace.
Poi mi porta davanti al grande vetro che racconta uno dei momenti più belli del Vangelo, la parabola del figliol prodigo.

Il messaggio è inequivocabile: abbiamo tutti ancora del tempo per tornare a Dio, perché noi creature esistiamo solo in rapporto al Creatore e non per noi stessi.
In fondo alla grande aula, riempie gli occhi il bellissimo mosaico del Mistero Pasquale, opera di Ugolino da Belluno.
Croce e Resurrezione sembrano andare a braccetto come negli affreschi sacri del grande Piero della Francesca.

Ma perché, chiedo, questo grande successo per il giovane chierico passionista?
È solo questione di miracoli?
La risposta è semplice ma esaustiva.
Gabriele piace a tutti perché esprime i valori che tutti noi andiamo cercando: la voglia di vivere, di realizzarsi, di essere felici, apprezzando questo grande dono.
Il giovane santo piace ai malati perché si mostra debole di salute ma con una immensa passione per la vita, è adorato dagli studenti perché anche lui lo è stato, è amato da chi è deluso dalla vita perché è l’esempio di chi, coinvolto nelle grandi traversie, non si fa travolgere.
Ma sono i giovani in particolare a sentirlo vicino, perché la sua vicenda è una storia d’amore verso il mondo e soprattutto verso la Madonna.

Un sguardo rapido, purtroppo, al museo Stauros d’arte sacra contemporanea e la sua biblioteca con oltre diecimila volumi, che meriterebbe ben altro tempo, per andare nella vecchia basilica.
È qui che la storia si esprime al massimo attraverso l’arte in tutte le sue forme espressive, dall’architettura alla figurazione scultorea e pittorica della splendida cappella del Santo in stile neo gotico inglese con le sue colonne di granito rosa, i mosaici, le statue dell’Immacolata, di San Paolo della Croce e San Vincenzo Strambi, fino agli ex voto custoditi nel museo.

È proprio al suo interno che il mio affabile cicerone mi fa notare la finestra oltre la quale si scopre la parte superstite dell’antico originario convento francescano, il chiostro con al centro il pozzo che la tradizione vuole sia stato scavato, in parte, dalle mani di San Francesco.

Tutto, attraverso le parole di Padre Vincenzo, mi appare nuovo, nonostante sia venuto qui diverse volte: il coro in noce con intarsi in olivo, l’antico refettorio del 1300, la minuscola camera del “transito” di San Gabriele.
Tutto diventa catechesi, annuncio di fede, “via pulchritudinis” verso Dio.

Non rimane che pregare sulla tomba del giovane santo dove continuano ininterrotti i prodigi dal 1892. Tutti abbiamo qualcosa da chiedere!

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Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km. - See more at: http://conoscere.abruzzoturismo.it/index.php?Canale=Dove&IDCanaleSub=29&IDCanaleSubSub=0&IDItem=518&ItemType=BC#sthash.lgCkeibR.dpuf
Per arrivare al santuario:
Da Roma: A24 verso Teramo, uscita San Gabriele - Colledara;
Da Bologna: A14 verso Teramo, uscita Teramo Giulianova, verso Teramo, poi A24 Aquila Roma;
Da Bari: Uscita Roseto degli Abruzzi, Statale 150 Teramo Villa Vomano, dopo 15 chilometri, Aquila Roma uscita San Gabriele-Colledara

Il santuario si trova a tre chilometri dall`autostrada A24 Roma-L`Aquila-Teramo.
• Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km.
• Da Bologna: prendere l`A14 verso sud, uscire al casello "Giulianova-Teramo", dirigersi verso Teramo e qui prendere l`A24 verso l`Aquila-Roma, uscire al casello "S.Gabriele".
• Da Bari: prendere l`A14 verso nord, uscire al casello "Roseto degli Abruzzi", prendere la statale 150 verso Teramo-Villa Vomano; dopo 15 km. imboccare l`A24 verso Roma-L`Aquila, uscire al casello "S. Gabriele".
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• Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km.
• Da Bologna: prendere l`A14 verso sud, uscire al casello "Giulianova-Teramo", dirigersi verso Teramo e qui prendere l`A24 verso l`Aquila-Roma, uscire al casello "S.Gabriele".
• Da Bari: prendere l`A14 verso nord, uscire al casello "Roseto degli Abruzzi", prendere la statale 150 verso Teramo-Villa Vomano; dopo 15 km. imboccare l`A24 verso Roma-L`Aquila, uscire al casello "S. Gabriele".
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Il santuario si trova a tre chilometri dall`autostrada A24 Roma-L`Aquila-Teramo.
• Da Roma: prendere l`A24 verso Teramo, uscire al casello "S. Gabriele" e seguire le indicazioni per il santuario, che si trova a 3 km.
• Da Bologna: prendere l`A14 verso sud, uscire al casello "Giulianova-Teramo", dirigersi verso Teramo e qui prendere l`A24 verso l`Aquila-Roma, uscire al casello "S.Gabriele".
• Da Bari: prendere l`A14 verso nord, uscire al casello "Roseto degli Abruzzi", prendere la statale 150 verso Teramo-Villa Vomano; dopo 15 km. imboccare l`A24 verso Roma-L`Aquila, uscire al casello "S. Gabriele".
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mercoledì 30 ottobre 2013

Casoli di Chieti: dove convive natura, arte e storia

La bellezza dell’Abruzzo a volte ti trafigge come un dardo di Cupido, anche solo attraversando un borgo, sorprendendoti dei panorami, delle case abbrunite dal tempo, di un’agricoltura antica che coniuga sapientemente produttività e piacere degli occhi.



Insomma, è lo sbalordimento di chi ama la sua terra e la vede come un incastro perfetto e quasi magico di pianure, colline e montagne.

Accade anche a Casoli di Chieti, antico villaggio fortificato nella valle del fiume Aventino e raccolto con le sue vetuste abitazioni attaccate al castello su di un colle affacciato sulla dorsale della Majella più aspra.
Arroccato sul bastione verde, pare un’astronave a fil di nubi.

Sotto vette prodigiose si estende anche una piccola pianura coltivata a girasoli e ulivi belli da mozzare il fiato.
I colori della terra, soprattutto in autunno, hanno i magici toni del marrone, ocra accesa e varie sfumature di verde.

Il paese si raggiunge affrontando un saliscendi di colline amene che dalla costa e i suoi abitati nuovi di cemento, portano fin sotto i picchi rocciosi.

Allontanandoci da grigliate, assembramenti e motori in strada, la vita pare più bella.
Casoli ha una storia più che millenaria.
È un concentrato di tracce che partono dalla preistoria, poi etrusche, romane, medievali e rinascimentali.

Da tempi antichissimi questo luogo ha, infatti, accolto importanti insediamenti abitativi e anche al turista frettoloso, quello del classico mordi e fuggi, offre forti emozioni.

Al visitatore non sfugge neanche la bonomia degli abitanti e la comoda lentezza di un piccolo paese in cui puoi guardarti intorno senza urgenze, cliccare istantanee, scambiare due parole con gli abitanti e fare un rapido viaggio nel tempo.

Tribù sannitiche hanno lasciato importanti resti del municipio creato dopo la guerra sociale avvenuta nella seconda metà del I secolo dopo Cristo, fra cui anche vestigia di secolari strutture termali che raccontano di un luogo ameno dove i Romani venivano a “passare le acque”.

Il tortuoso percorso che porta al castello ducale dove fu ospitato il vate Gabriele D’Annunzio, permette, inerpicandosi sulla collina, di scoprire vecchie viuzze dove il tempo pare essersi fermato.
Sono piccoli angoli segreti, autentiche gocce di medioevo.
Molti lungo il percorso sono gli edifici settecenteschi come i palazzi Tilli o De Vincentiis o ancora il De Cinque.

Se potessimo entrare, sicuramente scopriremmo stemmi gentilizi, stanze affrescate, raffinate scalinate.

La parrocchiale di Santa Maria Maggiore è aperta.
Qualcuno sta provvedendo alla pulizia.
M’intrufolo alla chetichella con passo felpato da cheyenne e scopro un bell’interno, impreziosito dal coro e da una bella tela cinquecentesca della Madonna del Rosario.

All’uscita incombe sulla mia testa l’imponente torre maggiore pentagonale del castello.
Affacciandosi dai muri perimetrali della fortificazione si ha la vista dell’Aventino e della valle del Sangro con sopra le montagne a circolo.

Non lontano c’è l’incantevole lago di S. Angelo, contornato da boschi di leccio tra straordinari scorci sulla Majella.
È un posto ideale per il birdwatching con un’antica torretta di avvistamento a difesa della valle.

Il castello ha l’ingresso a pagamento ma entrarci è importante, anche se alla fine sono un pochino deluso.

Ti aspetti comunque una sorta di Caronte all’ingresso e invece trovi una bella ragazza che, stendendoti il biglietto, regala suggerimenti di visita.
Le stanze del maniero parlano di D’Annunzio.

C’è anche in un angolo recondito una scrivania, dove pare che il Vate scrivesse rime.
Oggi c’è un piccolo gufo di legno dimenticato da qualcuno, forse antico talismano in grado di far emergere la vena artistica di chi lo tocca.

Il grande poeta fu ospitato più volte a fine ‘800, quando all’interno della rocca si costituì un importante cenacolo d’arte con incontri di elite tra pittori come Francesco Paolo Michetti di Francavilla, il musicista Francesco Paolo Tosti di Ortona, oltre a scultori e romanzieri.

E' utile ricordare che in ottobre viene celebrata ogni anno la grande festa dedicata a Santa Reparata, la patrona.

Nella chiesa a lei dedicata, dove si trova un bell'altare cinquecentesco e un tabernacolo a trittico su tavola di grande valore, si svolgono funzioni religiose e da lì parte la processione famosa delle "Conocchie", antica tradizione in cui i giovani sfilano in costumi tipici con in testa grandi conche piene di prodotti della terra.

Ora è tempo di muoversi.
C’è da visitare la Riserva Naturale del Lago di Serranella per osservare una delle zone umide più importanti d’Abruzzo.

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Arrivare a Casoli e al lago da Nord e da Sud:

Dall'autostrada Adriatica A14 (da nord: in direzione di Ancona; da sud: in direzione Pescara),
uscire a Val di Sangro, seguire la direzione Villa S. Maria, prendere la SS 652 e seguire le indicazioni per Casoli.
Dalla città di Chieti: Prendere la SS 81 e seguire le indicazioni per Casoli.

lunedì 28 ottobre 2013

L’arte del vino!

Gesù, nell’Ultima Cena, alzando il calice, rese il vino, insieme al pane l’elemento costitutivo dell’Eucarestia e della vita di ognuno di noi.

Probabilmente a questo episodio, il più importante di quelli tramandatici dai Vangeli, la vite deve molte delle sue fortune.


L’Abruzzo contadino ha una solida tradizione di terra ricca di vitigni e inventiva che regala vini eccellenti per purezza, gusto e aroma anche in pezzetti di terra considerati minori per la produzione vitivinicola.
Uomini coraggiosi fanno comunque emergere un territorio che ha molto da far scoprire.

La storia di Renato è simile a quella di tanti di essi. Siamo nelle colline alte, quelle a ridosso dei Monti Gemelli tra Campli e Civitella del Tronto.
Di quel pezzetto di terra qualche anno fa lui si era proprio dimenticato.
Poco meno di venti pertiche, misura agraria usata nelle nostre campagne, quindici di esse fanno un ettaro.

Lo aveva ereditato tempo addietro dal nonno ed era incolto.
Poi un giorno il nostro amico, una vita di ufficio e scartoffie ad Ascoli Piceno, è andato finalmente in pensione, i figli ormai grandi ed ecco che è scattata quasi naturale, la felice intuizione.

Renato ha tolto faticosamente le erbacce, ha pregato un amico agricoltore di aiutarlo a una buona aratura, ha scoperto i segreti più reconditi della semina e della concimazione e, con macchinari inizialmente in prestito, ha reso il terreno, un piccolo tesoro.

Ha creato il suo mondo dai filari di viti, sopravvissute a prolungata incuria, sostenute oggi da meli, peri, ulivi, alternati a piccole strisce coltivate a frumento.

È l’antico metodo dell’”alteno”, un campo coltivato con piante di viti abbinate ad altre di fusto per far sì che la parte frondosa crei una sorta di tetto, un soffitto verde.

È una piccola vigna rupestre costruita attorno a massi di arenaria, che restituisce il sapore antico del vino “Pecorino” e quello deciso del “Montepulciano”.

“Proprio il pecorino ha qui, tra le colline che sanno già di montagna, il suo habitat naturale”, mi dice il buon Renato che oggi produce pochi quintali di nettare, un po’ per lui e altri già prenotati da clienti di vecchia data.

Poi mi racconta che il nome non è solo dato dalla storica transumanza dei pastori ma soprattutto per il particolare gradimento delle greggi verso i grappoli di uva, che si presenta con acini piuttosto piccoli, gustosi e croccanti.
Il suo minuscolo vigneto è quanto di più poetico ci possa essere.

Gli chiedo com’è l’annata 2013 e lui mostra la sua saggezza: “una vendemmia si giudica solo dopo che l’uva è nelle botti, anzi quando il vino è dentro la bottiglia”.
Poi si sbilancia, m’invita a guardare la vite pronta a dare i suoi frutti e capisco che i vini, con l’aiuto di Dio, avranno mordente, regaleranno buoni aromi e raccolti garantiti da piogge e temperature stagionali nella norma, insomma più sapore, meno alcool“.

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I monti Gemelli (Montagna dei Fiori di 1820 metri e Foltrone di Campli, 1721 metri), si collocano fra le città di Teramo e Ascoli Piceno, delimitate a est dalla S.S. 81 Piceno Aprutina. 
Le due montagne sono separate dal cuneo delle fantastiche gole del Salinello. 

Blockhaus: terra di pastori e briganti

Il brigantaggio in Abruzzo ha radici antichissime, soprattutto nel territorio protetto della Majella.
Tra il Seicento e il Settecento e ancor prima nel Cinquecento con il famigerato Marco Sciarra e la sua banda, la povertà indusse gli uomini della montagna a unirsi nei saccheggi e nelle imprese delittuose.

Intorno al 1860, poi, una dura legislazione piemontese che disattese la riforma agraria, acuì i divieti e la povertà nel popolo, reprimendo sanguinosamente ogni forma di protesta.

C’è un luogo bellissimo, immerso nella natura, che ha una grande valenza storica.
Si trova nei pressi del Blockhaus, vetta che si affaccia sia su Chieti sia su Pescara, all’estremità settentrionale del parco Majella.

Qui i visitatori salgono attraverso le strade che da Pretoro, Roccamorice con gli eremi celestiniani o Lettomanoppello, porta fino ai duemila metri sia per sciare in inverno sia per respirare una boccata d’aria pura in estate.

Gran parte dei turisti si ferma al piazzale, perdendosi una passeggiata meravigliosa tra scenari montani bellissimi e pezzi di storia su pietre.

Incontri ravvicinati con pini mughi, rocce, animali come capre selvatiche, camosci, aquile, panorami sui selvaggi valloni di Selvaromana e Orfento, accompagnano gli escursionisti fino a un posto dove parla anche la storia.

Il sentiero è un vero viaggio nel passato.

Si incontrano i resti del fortino Blockhaus, costruito nel 1866, testimonianza di assoluta importanza del brigantaggio successivo all’Unità d’Italia, luogo anche di rifugio per i pastori e, soprattutto la cosiddetta “Tavola dei Briganti”.

Si tratta di una roccia piatta che si raggiunge facilmente con questo percorso segnalato e molto evidente grazie anche ai segnavia del CAI.

Il tracciato costeggia la cima di Monte Cavallo, scendendo verso i prati di Selletta Acquaviva.
Una piccola deviazione conduce alle iscrizioni su pietra.

Per capire meglio di cosa si tratta, tra le tante scritte, si legge ancora:
Nel 1824 nacque Vittorio Emanuele. Prima del 1860 questo era il regno dei fiori, oggi è quello della miseria”.

Arrivati in questa località dove si può riposare, fare picnic e bere acqua di sorgente, si torna indietro per la stessa strada e in tutto avrete impiegato meno di due ore. Si può scegliere di proseguire se si è allenati e un po’ esperti di montagna.

Il sentiero a mezza costa diventa più impegnativo fino al bivacco Fusco a 2500 metri da dove si apre un meraviglioso belvedere su uno degli anfiteatri più belli d’Abruzzo:
Le Murelle con branchi di camosci in libertà.

In meno di un’ora si conquistano i 2694 metri del monte Focalone, la vetta più a settentrione nella Majella, da dove la vista spazia alla vetta più alta del complesso, il famoso Monte Amaro.

COME ARRIVARE
A25 Roma-Pescara, uscita Alanno-Scafa, quindi SS5 direzione Scafa, prendere a sinistra per Pianopuccia, Lettomanoppello e Passo Lanciano. 
Da qui indicazioni per Majeletta e Blockhaus.