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venerdì 28 dicembre 2012

Western Australia: il mare nella zuppa di Natale

In un lunedì primaverile di inizio ottobre le commesse di un centro commerciale sono già impegnate a riempire gli scaffali di cianfrusaglie natalizie.
Alla domanda un po’ ingenua, ‘ma non è ancora presto?’ - considerando che mancano più di due mesi - segue la risposta secca e poco romantica di una di loro: ‘Il Natale è il nostro miglior business!’.
Come darle torto?

Mi chiedo come sia il Natale qui, nel Western Australia, distante oltre 15mila chilometri da casa. E faccio fatica ad immaginarlo.

L’Australia è un racconto troppo grande da narrare tutto d’un fiato.
Sensazioni sconfinate come le terre che ti si presentano davanti mentre guidi su highways che non hanno inizio e fine. L’Australia è una terra di tutti e di nessuno, dove culture millenarie si sfiorano senza mai toccarsi realmente.

Il Natale è la festa religiosa che, paradossalmente, funge da collante (commerciale) tra le etnie e le loro credenze, andando ben oltre i significati religiosi convenzionali.
Le tradizioni qui hanno un’altra accezione e le loro radici sono ancora giovani e sensibili ai cambiamenti.
La natura è l’indiscusso palcoscenico su cui il popolo australiano banchetta le festività.

Complice la stagione – Natale cade infatti in piena estate – ogni buon australiano si riversa sulle spiagge in perfetta tenuta da mare bermuda-olio solare- tavola da surf (e cappellino da babbo natale!) per dare sfogo alla naturale voglia di onde e di abbronzatura.
Le spiagge si trasformano in immensi pic-nic collettivi dove l’odore dei barbecue si mischia a quello di salsedine.
Se la Vigilia, da noi così sentita, è un giorno come un altro dove tutto è concesso e non vigono ristrettezze alimentari, il 25 dicembre è invece dedicato al tradizionale pranzo in famiglia, per mangiare abbondanti piatti a base di carne, non esclusa quella di canguro.
Per smaltire il lauto pasto, il pomeriggio lo si trascorre prevalentemente in spiaggia o in un parco. Il clima è decisamente più ‘ferragostiano’ che natalizio.
Almeno ai nostri occhi.

Il Boxing Day, ovvero il giorno di santo Stefano come viene chiamato qui, forse è quello più atteso: è il ‘Day Off’ per eccellenza, soprattutto per i giovani, che si riversano in ogni luogo carichi di birra e di musica a tutto volume vomitata dagli impianti delle loro jeep.
E’ ‘il party day’ preferito, più del capodanno, secondo quanto raccontano dalle parti di Perth. Le fasce più adulte si organizzano in partite di golf o cricket, tipici sport domenicali della classe benestante.

Di venature religiose il Natale australiano ne offre veramente poche.
La maggioranza della popolazione, protestante, vive la festività con un approccio decisamente più scanzonato e meno intimo.
Natale è il tempo per svagarsi.
Solo in pochi frequentano le chiese per la semi-sconosciuta messa di mezzanotte.
Altre credenze, altri stili di vita.

E’ interessante ascoltare le persone anziane, che qualcosa di inaspettato sanno sempre rivelare: dalle parti di Albany – splendida località di maggiore rilevanza storica del WA – per esempio, i discendenti dei primi coloni sono gli ultimi a conservare una tradizione lontana quanto affascinante: durante il pranzo di Natale, nella tipica zuppa di legumi all’inglese che viene servita in tavola, si usa mettere una goccia d’acqua di mare, prelevata precedentemente.
‘E’ un’ usanza che proviene da chi viveva qui prima di noi - racconta Carol – e a me ricorda l’infanzia. In quella zuppa io ritrovo il sapore del mare, del Natale, dei miei avi’.

(Reportage sul”Natale degli altri” dell’amico Raoul Ricci,
teramano emigrato a Perth, in Australia, per lavoro.)

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Gli articoli inseriti nella rivista sono redatti da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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giovedì 27 dicembre 2012

Il Natale a Cesacastina

I ricordi di Concetta Zilli di come si festeggiava il periodo più bello dell’anno nel cuore dei monti della Laga teramani.

Per la festività dell’Immacolata Concezione, tutti gli abitanti di Cesacastina donavano, (lo fanno tuttora) dei bei pezzi di legno per accendere un grande fuoco.
Le fiamme erano benedette e per ore le donne cantavano lodi alla Vergine Maria.
Dopo l'evento, ognuno portava a casa un tizzone di fuoco benedetto.

Ma, certamente l’attesa di tutti s’incentrava nel giorno della vigilia.
Dalla fine dell'estate, dopo il quindici settembre, i ragazzi dai dieci ai quattordici anni, si mettevano alla ricerca di bastoni per mettere sulle sommità un chiodo di muratore.

Come piccoli scoiattoli, gli adolescenti salivano sui numerosi alberi di ciliegio e staccavano via la corteccia in lunghe strisce da essiccare vicino al camino fino al Natale.
La corteccia seccando, diventava riccia, arrotolandosi su se stessa.
Era poi infilata sul chiodo del bastone.

Questa era la lunga preparazione alla festa dei “Faoni”.
Giunti alla messa di mezzanotte si dava inizio a uno spettacolo bellissimo e commovente.
Il paese che, al calar della sera, cadeva come tutti i borghi montani, in un buio totale, di colpo era rischiarato dal chiarore delle sommità dei bastoni dove si era dato fuoco alle cortecce. I faoni erano fondamentali per raggiungere la chiesa e partecipare alla messa di mezzanotte.

Meravigliosa era la scena dei serpentoni di luce che, da tutte le borgate di Cesacastina, cioè “Colle”, “Villa”, “Mastresco” e “Combrello”, confluivano nella chiesa principale.
Le strade erano piene di buchi, spesso coperte di neve e ghiaccio. Il fuoco recava sollievo alle persone anziane e meno agili.
Immaginate quant’era romantico il rossore sul bianco della neve.

Prima di recarci tutti alla Celebrazione Eucaristica, si consumava la cena della vigilia, consistente in una pasta con il sugo di baccalà, (sì, pesce in montagna), la zuppa di ceci e castagne.
Il prezioso frutto, pane degli antichi, era acquistato nella “fiera di tutti i morti” che il 2 novembre si svolgeva a Montorio al Vomano.

Le castagne provenienti in gran parte dagli alberi di Senarica, erano nascoste dalle mamme per evitare che i maschi mangiassero tutto prima del 24 dicembre.
Le paure ancestrali erano tipiche della notte di attesa.
I padri vietavano di avvicinarsi alle stalle poiché in queste ore, il Signore dava il dono agli animali di parlare come gli umani.
L'avvicinarsi avrebbe rotto l’incantesimo.

In questa notte magica, le mamme alle figlie o le nonne alle nipoti, potevano insegnare litanie in grado di sconfiggere il malocchio.
In dialetto si chiamava "Lu dice all’ucchie".
Il malcapitato, colpito dagli sguardi cattivi, doveva sottostare con fede al rito di croci segnate sul corpo con le mani e la recita nascosta di preghiere fatte a bassa voce, conosciute da pochi guaritori.

La conferma della scomparsa del pericoloso malocchio, si aveva versando delle gocce di olio nuovo in un piatto d'acqua per vedere se allargavano i cerchi oppure no.

Il venticinque si mangiava carne e un primo di pasta all'uovo.
Il dolce era la “pastuccie”, fatto con fichi secchi e impasto realizzato con lievito madre del pane di patate, tipico della zona.
Gli squisiti “calcionetti” con ripieno di cioccolata e castagne e il ricco timballo di scrippelle sarebbero arrivati solo dopo.


Articolo pubblicato sul N°6 di Paesaggio Teramano (Novembre - Dicembre 2012)
Chi lo desidera può visionare la rivista in *pdf oppure fare il download dello stesso *pdf).

L'articolo è stato redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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mercoledì 26 dicembre 2012

Il presepe vivente a Giulianova, irrinunciabile tradizione!

Incontro l’amico e giornalista Walter De Berardinis, anima del frequentato sito internet www.giulianovanews.it in un freddo pomeriggio di dicembre.
È lui l’addetto stampa e portavoce istituzionale di una iniziativa bellissima che ogni anno, il 26 dicembre, da diciassette edizioni, regala il Presepe vivente della parrocchia di San Flaviano in Giulianova.

È una manifestazione religiosa e culturale da portare avanti tra mille difficoltà.

“Il presepe, Sergio, si svolge nel cuore del centro storico al buio e senza luce artificiale, solo con le torce.
Un narratore racconta la scena.
Si apre con un corteo di figuranti, mediamente duecento persone tra adulti e bambini, il materiale occorrente viene tutto dai privati, compreso i fondaci dove si svolgono le scene.
Le varie associazioni di volontariato, Carabinieri, polizia penitenziaria tutti a riposo, CRI e protezione civile coordinano il deflusso della gente e la sicurezza.
Gli abitanti del centro storico hanno un pass e ingresso riservato.
L'orario dell’evento è dalle 18:00 alle 22:00, un massimo di quattro ore dato il freddo pungente.
E' sempre gratis, naturalmente.

Difficoltà economiche, naturalmente!

“Non c’è un euro in cassa, Sergio, anche gli sponsor storici sono in difficoltà.
Non paghiamo nessun figurante, nessun rimborso spese per chi recita in questo antichissimo borgo degli Acquaviva.
Riusciamo comunque con l’aiuto dei cittadini e del buon Dio, a proporre un evento di rilievo.
Hai idea di quante cose occorrono?
C’è bisogno di una squadra di pronto intervento per falegnameria, elettricità, un service per casse, luci, mixer e microfono, costumisti, truccatori, ecc., insomma una cosa grande!
Invito tutti a visitare il sito www.presepevivente.net, gestito dal poliedrico regista, Domenico Canazza, anima della manifestazione.
È un grande giuliese, che coltiva varie arti, soprattutto quello dello spettacolo. Grazie a lui ogni anno la natività ha un gusto diverso, ogni scena è inedita.
Un esempio?

Scritte enormi fatte con cubi di polistirolo, troni giganti per ribadire la potenza di Roma, una stella enorme, una piazza fatta solo di tanti teli e danzatrici e angeli in bianco, un'altra piazza con un enorme corona e un Erode piccolo.
Non le solite scene del falegname o del fabbro.
Canazza desidera che la gente rifletta, pensi, si domandi, torni a casa a prendere in mano la Bibbia.

I problemi sono comunque tanti e non solo di ordine economico: ad esempio chi recita la parte del Bimbo? 

Da quando è chiuso il reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Giulianova non ospitiamo più nascituri.
Alla fine di maggio, mia figlia Giulia è stata l'ultima femmina nata.
Sono quattro edizioni che il divin Bimbo non è nato in città ma in altri ospedali.
Con il freddo che fa a dicembre i neonati utilizzati nella manifestazione sono anche più di tre.
E poi, i giovani latitano.
Negli ultimi anni abbiamo deciso di adottare la formula del bando per far partecipare ragazzi e ragazze, insomma dare una scossa alla manifestazione, rendendola più vicina alla gioventù”.

Uno dei momenti più belli nella preparazione?

“Sicuramente le selezioni per la Sacra Famiglia.
Quella sera c'è il nostro fotografo ufficiale Vladimiro Di Stefano che scatta istantanee a tutti.
Poi iniziano le prove di coppia.
In una seconda sessione, con foto alla mano, il comitato confronta e valuta.
Di solito la spunta sempre il San Giuseppe più vecchio che riesce a trasmettere il senso di saggezza e di misticità del papà di Gesù.
Per la parte di Maria è tutto diverso.
Non guardiamo mai alla bellezza in se, ma quello che il viso può trasmettere agli spettatori.
Carisma, certo, ma soprattutto purezza”.

Non c’è dubbio! Il 26 dicembre saremo tutti insieme a godere di questo spettacolo divino nel cuore di Giulianova.



Articolo pubblicato sul N°6 di Paesaggio Teramano (Novembre - Dicembre 2012)
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L'articolo è stato redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
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martedì 25 dicembre 2012

Il presepe - borgo dei Monti della Laga



Il video "Presepe e Museo Etnografico Le Genti della Laga (2007-12-25)" è stato estrapolato
dall'archivio della PacotVideo pubblicato su YouTube 
e dove sono pubbicati altri 2 video:
1 - Presepe delle Genti della Laga 2003-04
2 - Presepe delle Genti della Laga 2004-05

Un cielo azzurro, punteggiato di stelle splendenti.
La grotta affascinante nella sua semplicità.
Uomini di montagna intenti alla fatica quotidiana.
Una straordinaria opera di artigianato che, in una miscela di sapienti ingredienti, abbraccia il visitatore portandolo in un viaggio tra realtà, storia, fede e cultura laica.


Il presepe delle “Genti della Laga”, la creatura amata da Gino Di Benedetto e Fabrizia Di Girolamo, diventa ancor più coinvolgente nel nuovo scenario, con facciate delle case dagli antichi portali e infissi recuperati da vecchi cascinali decaduti e spaccati di vita contadina che immergono in una realtà agreste che appartiene ai ricordi.

La particolarità del museo sta nella veridicità delle scenografie che emoziona tutti; la mostra svolge anche un ruolo didattico-educativo, permettendo di tramandare la memoria di attività millenarie.

Nella parte riservata alla Natività, trovano collocazione le mirabili realizzazioni dello scenografo napoletano Antonio Flagiello, recentemente scomparso, lasciate in donazione al museo presepe.

Non sola rappresentazione della nascita che cambiò il mondo ma testimonianza di un tempo che fu, di una vita dal ritmo lento che non esiste più se non nel ricordo di anziani sopravvissuti.

Un presepe-borgo che riproduce l’habitat antico: le sfumature, incredibilmente reali degli intonaci delle casette contadine, abitazioni dalle imposte di legno, povere “pinciare” dove la vita è dura, muri sgretolati in tufo, scalinate in pietra della Laga.

I deliziosi balconcini con le inferriate di ferro battuto che esibiscono trecce di cipolle, peperoncini, grappoli di pomodori.

Il panettiere che panifica, lo scalpellino curvo a battere la pietra, il pastore a transumare, il ceramista di Castelli a impastare creta, il ramaio a preparare utensili e tutto intorno il grigio degli acciottolati e dei muretti a secco, il verde delle colline di un verismo incredibile.

E poi i personaggi, riprodotti in tutte le occupazioni quotidiane, con vestiti tipici delle piccole comunità rurali di un Abruzzo che irrimediabilmente non c’è più, a creare struggenti nostalgie.

La nostalgia pervade l’atmosfera di suoni, luci e colori di cui il presepe delle “Genti della Laga” si nutre in un irripetibile afflato naturale.

Tutto, nella Rappresentazione del Cristo che si eleva sopra le miserie umane, rivela la maestria di chi ha concepito la Natività più grande della regione e una delle più interessanti d’Italia.

Una particolare tecnica usata dagli artigiani che dona vita ai protagonisti, dalla lavandaia che smette di sbattere i panni al fiume per assistere alla nascita del Bambino, al venditore di ricotta e salumi che espone la sua mercanzia, l’arrotino in mezzo ai coltelli, fino ai contadini intenti all’”accise de lu porche”, alla trebbiatura, alla vendemmia e raccolta olive.

I volti danno il senso della fatica e della povertà, tra rughe scavate dal sole e dalla vita difficile.

Le montagne di cartapesta, l’antica ramiera, il vecchio mulino, la deliziosa chiesina rupestre, il solitario romitorio, le pecore che attraverso i tratturi, svernano in Puglia, tutto è ricostruito con certosina meticolosità.

Emerge dalla scena un’umanità che non fa passare in sordina l’incredibile avvenimento della nascita dell’”Emmanuele”, ma anzi lo rafforza con migliaia di comprimari che illuminano la scena dolcissima della Sacra Famiglia.

Il fiabesco si mescola al reale nell’armonia del paesaggio dei monti della Laga, tra fiumi, cascate, prati, ruscelli, mentre cresce l’attesa dell’evento più importante dell’umanità.
Il formicolare del mercato paesano, tra bancarelle, botteghe e osterie, si contrappone alla plasticità del volo degli Angeli nel cielo scuro della notte e alla carovana dei Re Magi, in una commistione che stupisce.
E, ovunque, c’è il senso rassicurante di un messaggio d’amore verso Dio e i fratelli.
(Collaborazione: Sandro De Marcellis - Foto: Gianluca Pisciaroli)
Il Presepe sarà visitabile nei seguenti orari e date:
Sabato 15 e 22 dicembre 2012 (dalle ore 16:00 alle ore 20:00),
Domenica 9 e 16 dicembre 2012 (dalle ore 10:00 alle ore 20:00),
Dal 23 dicembre 2012 al 6 gennaio 2013 tutti i giorni (dalle ore 10:00 alle ore 20:00).

La mostra è visitabile previa prenotazione tutto l’anno.
L’INGRESSO È GRATUITO
Per informazioni e prenotazioni Tel: 338-3316641

Internet: www.cmgransasso.it/ginodibenedetto
E-mail: oggettidelpassato@tiscalinet.it
Blog: http://presepelegentidellalaga.blogspot.com
Facebook: www.facebook.com/groups/266076663441683/




Articolo pubblicato sul N°6 di Paesaggio Teramano (Novembre - Dicembre 2012)
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lunedì 24 dicembre 2012

La magia delle feste

La piccola chiesa è gremita.
Stipati in ogni ordine di posti ci sono tutti: il macellaio, l’assessore comunale, l’erbivendolo, l’emigrante che ha fatto soldi in America, il pastore.

Il coro di voci bianche intona canti natalizi accompagnati dal vecchio organista del paese.
I chierichetti in tunica rossa e cotta bianca, fieri di poter essere sul presbiterio, si muovono sinuosi; oscillano il turibolo, spandendo fumi variopinti di incenso profumato.

Il vecchio parroco sull’altare ha il sorriso soddisfatto.
Ai piedi dell’officiante un piccolo presepe dove ci sono tutti, da San Giuseppe, alla Madonna, dal bue all’asinello, ai pastori.
Manca solo il Bambino…

Vi racconto di una vigilia di Natale che non c’è più, in un remoto paesino qualunque ai piedi dei Monti della Laga teramani, dove la gioia è incontenibile nell’ attesa.
Fuori dal borgo, anche le boscose creste attendono, muovendosi sinuose, accompagnate dal vento freddo dell’inverno.

Si sente risuonare per le contrade una dolce melodia che prende tutti per mano a guidare come novella cometa, verso il luogo dell’evento.
Ecco i bambini in sciarpe e mantelline, con gli occhi assonnati ma sgranati per la curiosità antica, i nasini all'insù rossi per il freddo, ma felici di assistere alla veglia alla quale mai si sognerebbero di mancare.
Altri tempi si dirà!

L'atmosfera ed il mistero del Natale sono fra le poche cose che conservano un pizzico d’ incanto e poesia.
Il venticinque dicembre ancora oggi odora di conifere e di agrumi, di neve e di agrifoglio, di torrone e di frittelle.
Basta saper percepire i profumi e la magia e condividere le tradizioni.
Non facciamo scomparire usanze belle!
Riscopriamo il Natale di un tempo!

Le ansie, il travaglio per concepire un presepe più bello di quello del vicino di casa.
La ricerca di sugheri, legni, pietre, vetri, stagnola, cartoni, per creare l'ossatura del mistico teatro; l'apparato di monti, valli, anfratti, gole, grotte, quasi una nuda creazione di uno spicchio del mondo che deve rimanere integro negli anni che passano.

Che bello riascoltare i pastori intonare, con ciaramelle e cornamuse, l’immancabile “tu scendi dalle stelle”.
Che gioia riscoprirci coinvolti da questo momento magico; la vecchia che fila davanti alla finestra, il contadino che zappa il suo orto, il garzone tra le pecore al pascolo, il mugnaio, il maniscalco.

Ripetere quello che facevano i nostri nonni, quando alla messa di mezzanotte, deponevano in sacchi, asciugamani di canapa e lino, filati appositamente per gli usi della chiesa.

E che bello sarebbe ritrovarsi attorno al focolare, mentre un grosso ceppo di faggio brucia e riscalda fino a Santo Stefano, recitando un rosario, raccontando storie e mangiando noci e lupini con vino novello.
I bambini accoccolati accanto alla stufa con una vecchia coperta e, nel silenzio della sera, bello vederli ascoltare estasiati il nonno raccontare, con il sottofondo del crepitio della legna nel camino.

Le donne che preparano la “pastuccia” di fichi secchi,olio, zucchero, qualcuno a suonare fisarmonica e chitarra.

Apriamoci allo spirito di solidarietà e di amicizia che regnava in passato nelle comunità rurali del territorio teramano.
Torniamo a far sì che la nascita del Figlio di Dio, riacquisti la dignità di ricorrenza più attesa e sognata.


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martedì 11 dicembre 2012

Il Natale più bello

Il Natale più bello?
Sarebbe quello in cui tutti noi ci prendessimo l’impegno di difendere il territorio e le nostre opere d’arte.
Come?

Con piccoli gesti, del tipo non lasciare rifiuti in spiaggia, non cogliere fiori in montagna, cercare funghi senza devastare il sottobosco, evitare di portar via muschio per il presepe, usare alberi finti e non abeti destinati poi a morire.
Inutile negarlo, c’è una devastazione continua, cieca e suicida dello spazio in cui viviamo.
Anche a Natale!

Nel nostro magnifico territorio è in atto la progressiva trasformazione della pianura e della costa in una immensa periferia e l’abbandono della montagna.
Leggete dei paesi fantasma e della chiesa di S. Flaviano in distruzione in questo numero di fine anno.

Un disastro paesaggistico, un saccheggio e degrado del nostro patrimonio che sono la metafora dei mali italiani.
Tutto ciò non avverrebbe impunemente se tra i cittadini ci fosse una chiara percezione del valore delle risorse e della irreversibilità del loro consumo, del fatto che la storia indica sempre la via maestra.

Diventa indispensabile educare alla bellezza le generazioni future.
Se nessuno insegna ai bambini che camminare in un bosco, entrare in un museo o in una chiesa per guardare un affresco, vivere il mare d’inverno, può essere un’esperienza divertente, difficilmente quel bambino crescendo, si rileverà sensibile alla tutela del paesaggio.

Dobbiamo tornare a essere contagiati in una sorta di sindrome di Stendhal collettiva per essere coinvolti dalla bellezza di un ambiente, di un’opera d’arte.

Una ragazza di Agrigento ha scritto al F.A.I., fondo per l’ambiente italiano:
“Bisogna, in mezzo alla natura, non lasciare altro che l’impronta dei tuoi piedi e portar via solo foto, impressioni e ricordi, lasciando l’altro al suo posto”.


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sabato 1 settembre 2012

Gente di collina

Ho due immagini deliziose negli occhi.

La prima è il “giovanotto” ottantenne Oscar che versa il vino nella sua casa nei pressi di Morrodoro, facendo ondeggiare quasi impercettibilmente la bottiglia avanti e indietro a sottolineare ogni parola.

La frase ricorrente che usa, parlando del suo vigneto è: «La terra è bassa e ci si deve piegare per renderla fertile».
Poverino, mesi fa ha barcollato un po’ più forte cadendo dalle scale e rompendosi una gamba.

Hanno detto che i bicchieri quella sera erano un po’ troppi.

Come dimenticare il suo modo unico di sbocconcellare il pezzetto di pane con olio di frantoio per esaltare il sapore del vino?

La seconda immagine è la figura di Natalina, donna d’altri tempi, nell’agro di
S. Omero.

La zappa è impugnata con due mani come si fa con la scopa.
Le scarpe sono grosse, le calze non toccano il polpaccio.
Lei, forse, ha perso qualcosa dell’innata femminilità, tramutatasi in un inno alla mascolinità di muscoli irrorati da mille piccole vene di sangue.

Fatica nel suo orto e non poco.
Ma appare soddisfatta.
Il frutto della terra è lì in bella vista.

Non mancano fiori gialli di arnica dalle mille virtù terapeutiche, l’erba cipollina, un fazzoletto di zolle zeppo di erbe aromatiche, insalata, cavoli e ortaggi di tutte le specie.
C’è da scommettere che, per questi indomiti vecchietti, la terra è il posto dove scacciare malinconie e preoccupazioni.

Lo si capisce nella cura che lei mette alle sue peonie raggruppate simpaticamente, dentro una vecchia carriola adibita ad aiuola improvvisata.
Lo si percepisce come lui dissoda zolle, semina bietole da costa, concima la
vigna.

Autunno, tempo di vendemmia, celebriamo il lavoro dell’uomo.


Articolo pubblicato sul N°5 di Paesaggio Teramano (Settembre - Ottobre 2012)
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domenica 1 luglio 2012

La calda estate di provincia

Un sentiero, lo scarpone che procede agile, schivando rocce, aggirando ostacoli.

Ripidi ghiaioni, vette complicate da raggiungere, da vivere qualche minuto per poi tornare verso il basso per non essere colti dall’oscurità del tramonto, mentre la traccia s’inoltra nel bosco, attraversa prati fioriti giungendo ad un luogo sicuro.

La montagna è passione dell’anima.
Ma anche il mare può conquistare con i suoi tramonti, la sabbia dorata e le storie infinite di pesca e di vita semplice.

L’emozione che si prova andando in barca a vela non si riesce a spiegare fino a quando non la si prova.

Governare una imbarcazione anche in assenza di vento migliore, quello trasversale, l’andatura di “bolina” cioè contro corrente, con il mezzo che quasi sbanda e che devi faticare a tener dritto, è spettacolare per chi ama l’avventura.

Cavalcare le onde che mutano colore ad ogni folata di vento con misurata spavalderia, vederle frangersi in mille rivoli bianco azzurri.

Spruzzi d’acqua salata a schiaffeggiare il corpo.
Adrenalina pura.

La consapevolezza di essere un tutt’uno con la bellezza e la potenza del creato.
E cosa dire delle stupende sensazioni che danno corroboranti passeggiate a piedi o in bici in collina a scovare poetici campi coltivati, tra filari che cominciano a popolarsi di piccoli acini, futura uva che produrrà il “sangue della terra”?

Estate: vecchie e nuove amicizie, balli, sagre e feste popolari tra formaggi, porchette sapide, e vini nobili di pura poesia.

Estate calda da vivere nel teramano per abbronzare anche l’anima oltre che il corpo.


Articolo pubblicato sul N°4 di Paesaggio Teramano (Luglio - Agosto 2012)
Chi lo desidera può visionare la rivista in *pdf oppure fare il download dello stesso *pdf).

L'articolo è stato redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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venerdì 1 giugno 2012

Luoghi comuni, emozioni uniche!

Che cosa possiamo raccontare per presentare degnamente la nostra terra a chi ha deciso di venirci in vacanza, investendo ferie e denaro?

Il teramano è pervaso da un clima di armonia che si riflette tanto nel cibo e nei vini, quanto nella qualità dell’accoglienza che in molti luoghi regala amicizia e simpatia.

Il nostro magazine vuole invitare i gentili ospiti in un ideale tour che può essere:
- sportivo nel camminare a piedi, a cavallo o in mountain bike sui sentieri del Gran Sasso;
- artistico per scoprire borghi d’insospettabile bellezza come Montepagano, o Sant’Omero;
- storico per calcare le orme di antichi calzari attraverso quella che un tempo era la Via Metella;
- emozionante per scoprire luoghi dell’anima come la “ghost town” medievale di Faraone Vecchia;
- naturalistico, per vivere in sella alla fidata due ruote la Via delle Pinciaie, le case di terra, retaggio di un mondo contadino che non c’è più;
- religioso, scoprendo il tesoro da non perdere, una delle più antiche chiese d’Abruzzo, Santa Maria a Vico, in mezzo a una rigogliosa campagna.

Certo, ci sono luoghi che sono luoghi comuni, quelli raccontati con ovvietà dai turisti al ritorno a casa.
Ma in pochi posti in Italia, credo, si riesce a incontrare felicemente il popolo del mare e quello delle pianure e montagne.

Raggiungere, all’alba, il tetto degli Appennini, osservare opere d’arte e vivere il tramonto sul mare nello stesso giorno, da noi è possibile.

Luoghi comuni, sì, ma emozione unica.
Questa è la nostra terra, l’Abruzzo teramano!


Articolo pubblicato sul N°3 di Paesaggio Teramano (Giugno - Luglio 2012)
Chi lo desidera può visionare la rivista in *pdf oppure fare il download dello stesso *pdf).

L'articolo è stato redatto da Sergio Scacchia, autore tra l'altro di tre libri:
"Silenzi di Pietra" e "Il mio Ararat" e "Abruzzo nel cuore".

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